(foto LaPresse) 

Il Papa celebra il Concilio e tira le orecchie a progressisti e conservatori

Omelia di Francesco che mette in guardia la Chiesa dalle divisioni: "Stiamo attenti"

Matteo Matzuzzi

"Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre! Quante volte si è preferito essere ‘tifosi del proprio gruppo’ anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, ‘di destra’ o ‘di sinistra’ più che di Gesù; ergersi a ‘custodi della verità’ o a ‘solisti della novità'"

Sessant’anni dopo l’apertura del Concilio Vaticano II, il Papa ha radunato preti, vescovi e cardinali per celebrare la ricorrenza. All’altare il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, Francesco in piviale al lato della Confessione. Accanto, l’urna con il corpo di san Giovanni XXIII, che volle e inaugurò l’assise ecumenica. Ci si attendeva un’omelia che affrontasse, per l’ennesima volta, le contrapposizioni tra conservatori e progressisti, le lacerazioni eterne nella Chiesa che ancora oggi sopravvivono e s’adattano a seconda della questione al centro del dibattito, sia la comunione da dare ai divorziati risposati o le aperture pretese dai  tedeschi con il loro Sinodo. Francesco ha rispettato le attese. “Stiamo attenti”, ha detto: “sia il progressismo che si accoda al mondo, sia il tradizionalismo che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà”.  

 

“Sono egoismi pelagiani, che antepongono i propri gusti e i propri piani all’amore che piace a Dio, quello semplice, umile e fedele che Gesù ha domandato a Pietro”, ha detto Francesco. Quel che si deve fare, secondo il Papa, è tornare “alle pure sorgenti d’amore del Concilio. Ritroviamo la passione del Concilio e rinnoviamo la passione per il Concilio!”. La Chiesa, ha aggiunto, “sia abitata dalla gioia. Se non gioisce smentisce sé stessa, perché dimentica l’amore che l’ha creata. Eppure, quanti tra noi non riescono a vivere la fede con gioia, senza mormorare e senza criticare? Una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, veleni e polemiche”. 

 

No, ha detto Jorge Mario Bergoglio: “Dio ci liberi dall’essere critici e insofferenti, aspri e arrabbiati. Non è solo questione di stile, ma di amore, perché chi ama fa tutto senza mormorare”. Il Papa richiama all’ordine, tutti e indistintamente: tornare al Concilio, dice, “ci aiuta a respingere la tentazione di chiuderci nei recinti delle nostre comodità e convinzioni”. Tornare al Concilio, “che ha riscoperto il fiume vivo della Tradizione senza ristagnare nelle tradizioni; che ha ritrovato la sorgente dell’amore non per rimanere a monte, ma perché la Chiesa scenda a valle e sia canale di misericordia per tutti. Torniamo al Concilio per uscire da noi stessi e superare la tentazione dell’autoreferenzialità”. E torna, Francesco, sul punto quando invita tutti a non cedere alle lusinghe del diavolo, “non cediamo alla tentazione della polarizzazione. Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre! Quante volte si è preferito essere ‘tifosi del proprio gruppo’ anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, ‘di destra’ o ‘di sinistra’ più che di Gesù; ergersi a ‘custodi della verità’ o a ‘solisti della novità’, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa madre Chiesa”.

 

È un’omelia, per quanto attesa nei contenuti, che invita a non usare il Vaticano II come una sorta di feticcio da esibire alla stregua di vessillo per il proprio campo di riferimento. I conservatori non lo usino come discrimine per stabilire che quel che c’era prima era santo e immacolato e quel che è venuto dopo è solo  ombra e depressione. Allo stesso modo, i progressisti non intendano l’assise aperta da Roncalli come fosse un piccone per demolire due millenni di storia. La chiave è il passaggio sulla Tradizione, a giudizio del Pontefice nobile e alta purché non scada in puro ritualismo fine a se stesso. E’ un messaggio recapitato anche a chi si ripropone di rivoluzionare tutto, facendo entrare aria fresca nelle stanze troppo a lungo chiuse sempre nel nome del Concilio e di una malintesa idea di sinodalità, nel nome della quale tutto si potrebbe fare e disfare.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.