(foto LaPresse)

dopo le elezioni

Il voto cattolico tornerà, ma per adesso non esiste

La diaspora continua, ma la nuova Cei (e qualche vescovo) tentano l'impresa: rianimare un corpo morto

Matteo Matzuzzi

La dichiarazione del cardinale Zuppi: "La Chiesa continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale". Il ritorno della questione cattolica, definizione sempre più vaga

A due giorni dai risultati elettorali, il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, segnala in una Dichiarazione ufficiale che “purtroppo, dobbiamo registrare con preoccupazione il crescente astensionismo, che ha caratterizzato questa tornata elettorale, raggiungendo livelli mai visti in passato. E’ il sintomo di un disagio che non può essere archiviato con superficialità e che deve invece essere ascoltato. Per questo, rinnoviamo con ancora maggiore convinzione l’invito a ‘essere protagonisti del futuro’, nella consapevolezza che sia necessario ricostruire un tessuto di relazioni umane, di cui anche la politica non può fare a meno”. La Chiesa, aggiunge, “continuerà a indicare, con severità se occorre, il bene comune e non l’interesse personale, la difesa dei diritti inviolabili della persona e della comunità” e “da parte sua, nel rispetto delle dinamiche democratiche e nella distinzione dei ruoli, non farà mancare il proprio contributo per la promozione di una società più giusta e inclusiva”. E’ la voce della Chiesa italiana, che già alla vigilia del voto s’era espressa indicando  le priorità del futuro governo e suggerendo una sorta di criterio utile a scegliere nel segreto dell’urna. Ma i cattolici, cosa hanno votato? E’ la domanda che torna a ogni appuntamento elettorale, soprattutto dopo la fine della storia democristiana, e che quasi sempre ha la stessa risposta. “Da tempo il comportamento di voto dei cattolici va di pari passo con l’orientamento politico della maggioranza degli italiani: nel 2018 il più votato era il M5s tra chi andava a messa tutte le domeniche. Nel 2019 il primo partito votato dai cattolici praticanti era la Lega. La fede come la politica è un frammento di identità che non comunica con gli altri”, ha detto  ad Avvenire Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos.

 

Su una delle riviste più prestigiose del cattolicesimo democratico, Il Regno, Gianfranco Brunelli già diversi giorni fa scriveva che “si torna a parlare di ‘questione cattolica’. Stancamente. Con le categorie proprie della lunga e positiva stagione del cattolicesimo politico. Quella stagione si è conclusa con la fine della Democrazia cristiana (Dc). Quel mondo non c’è più”. Osservava Brunelli che “continuare a usare le categorie del cattolicesimo politico non aiuta a impostare la nuova ‘questione cattolica’. Chiedersi dell’insignificanza dei cattolici in politica oggi, di fronte a questo passaggio elettorale decisivo per il paese, significa aver perso di vista il quadro della situazione (…) Il mancato superamento del postcomunismo e del postfascismo, che ha contrassegnato il fallimento della transizione e di cui i soggetti politici portano la responsabilità, assieme al contributo disfunzionale della Chiesa italiana hanno escluso quella possibilità. Oggi ci troviamo di fronte a una nuova ‘questione cattolica’, la terza, che si pone oltre il cattolicesimo politico”. Il fatto è che, “non avere risolto la questione laicale, immaginando di tenere centralisticamente le pecore nell’ovile, non aiuta ad affrontare la terza ‘questione cattolica’, posta dalla totale secolarizzazione della società. Essa è propriamente una questione religiosa e culturale, che implica il confronto tra riferimenti morali e valoriali diversi presenti nella società, anche in presenza di altre religioni e dei valori di cui sono portatrici. E’ una questione che si riferisce alla società nel suo complesso, al cambio antropologico radicale in atto – a differenza della prima che aveva un carattere istituzionale ed era in capo alle classi dirigenti e alla seconda che in quanto politica era delegata soprattutto al ceto politico –. Qui occorre ripartire complessivamente da una prima evangelizzazione o alfabetizzazione della fede”. 

 

Lunedì, mentre i nomi degli eletti iniziavano a essere diffusi, c’era chi notava l’assenza di esponenti della Fuci, la storica federazione degli universitari cattolici. Segno dei tempi, osservavano altri: in Parlamento vanno esponenti di comunità ecclesiali e movimenti, ma della vecchia struttura del cattolicesimo “politico” nessuna traccia. Il problema è più sentito a sinistra,  anche in seguito alla sconfitta. Alberto Melloni twittava: “Al Pd serve una Bolognina per certificare che la vocazione maggioritaria era un sentimentalismo provinciale e federare socialisti e democratici come nel Parlamento europeo gli S&D. P. S.: Per federarli l’uomo c’era ed era anche cattolico: molto ignorato da vivo, più citato da morto”. La foto a commento era quella di David Sassoli. L’omelia pronunciata da Zuppi ai suoi funerali, lo scorso gennaio, passò di mano in mano come una sorta di programma per risvegliare quel laicato cattolico democratico dormiente e disperso che non sapeva bene che fare e dove andare. La Cei del nuovo corso ha scelto di essere più “interventista”, le dichiarazioni del suo presidente sono numerose, gli spazi di confronto pure. E’ il tentativo di coalizzare attorno all’obiettivo del bene comune una realtà che c’è ma che non può contare più sui numeri   di un tempo.

 

Ci sono vescovi che, d’altro canto, pubblicano manifesti preelettorali, indicando ai fedeli quali sono i princìpi non derogabili per chi voglia definirsi cattolico. Princìpi che vanno seguiti anche nel segreto dell’urna, dove Dio dopotutto vede: “Mi sta a cuore ribadire che il cattolico non può sostenere con il proprio voto – meno ancora con la militanza politica diretta – candidati, partiti, programmi e proposte in contrasto con i cosiddetti e famosi ‘valori non negoziabili’ e i princìpi fondamentali della dottrina cattolica circa la morale, quali i temi legati alla dignità della persona, alla vita, alla famiglia e alle varie questioni antropologiche”, scriveva all’inizio di settembre mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-San Remo. Esortava, il presule, “a esaminare e valutare programmi e candidati alla luce delle considerazioni sopra esposte evitando di avallare in nome di una generica ‘complessiva bontà della proposta o della visione politica’ posizioni incompatibili con la dottrina cattolica: esigenze etiche irrinunciabili in materia di aborto e di eutanasia, circa i diritti dell’embrione umano, in ambiti riguardanti la famiglia e l’educazione dei minori”. Posizione di minoranza, data la rarità di interventi simili da parte dei suoi confratelli. Mons. Suetta non a caso si è detto “ben consapevole che un intervento sulla questione elettorale susciterà inesorabilmente qualche critica e polemica, soprattutto da parte di chi – anche nella Chiesa – ritiene che l’argomento non debba essere neppure sfiorato dalla sollecitudine pastorale”. Seguendo la traccia indicata da Pagnoncelli, stavolta i  praticanti hanno scelto Fratelli d’Italia. Anche questo è il sintomo di un disorientamento che dura da  un trentennio e che non sembra destinato a cessare in tempi brevi.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.