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Il Papa raduna i cardinali. Benvenuti al pre Conclave

Dopo più di otto anni, Francesco convoca a porte chiuse i porporati che dovranno scegliere il suo successore. In ballo c'è il futuro della Chiesa

Matteo Matzuzzi

Altro che riforma della curia, nella pentola del pre Conclave bolle ben altro. Guerra, Sinodo, Cina e Nicaragua. I porporati avranno l'occasione giusta per conoscersi, discutere e confrontarsi su quel che sarà la Chiesa di domani

Roma. Gli ingredienti per un bel romanzo da leggere sotto all’ombrellone ci sono tutti, in fin dei conti agosto non s’è ancora concluso. Oggi pomeriggio il Papa creerà in San Pietro sedici nuovi cardinali elettori e quattro ultraottantenni (erano cinque, ma il belga Lucas Van Looy, emerito di Gand, ha rifiutato perché accusato d’aver coperto qualche prete coinvolto in torbide vicende d’abusi). Domenica sarà all’Aquila: messa, Angelus e apertura della Porta santa nella basilica di Collemaggio. Già all’una del pomeriggio sarà rientrato a Santa Marta. Lunedì e martedì, in Vaticano, riunione di tutti i cardinali per riflettere sulla nuova costituzione apostolica Praedicate Evangelium, entrata in vigore all’inizio di giugno, il giorno di Pentecoste.

 

Un’agenda che per settimane ha alimentato speculazioni d’ogni sorta, fra chi vedeva un nesso logico nella consegna di nuove berrette, l’omaggio al Papa del gran rifiuto Celestino V e una discussione plenaria tra i cardinali. “Si dimetterà”, faceva trapelare qualcuno, venendo subito smentito da chi invece invitava a non farsi film o – appunto – trame da thriller “religioso” estivo. 

  

L’evento è comunque rilevante. Perché erano otto anni che Francesco non convocava tutti i porporati a Roma per discutere di questioni importanti per la vita della Chiesa. Lo fece l’ultima volta all’inizio del 2014, quando assegnò a Walter Kasper l’ouverture del Sinodo straordinario sulla famiglia, in cui si delinearono quelle aperture che poi sarebbero state in parte recepite dalla doppia assise sinodale del biennio 2014-2015, seppur tra battaglie feroci, conte all’ultimo voto e cardinali che si menavano fendenti sui giornali. Perché il Pontefice ha deciso di richiamare tutti a Roma? Certo, c’è la riforma della curia. Attesa fin dall’inizio del pontificato, è arrivata a sorpresa lo scorso marzo, pubblicata sul bollettino senza troppe spiegazioni. Infarcita di errori e refusi, tant’è che – in un’atmosfera carica di giustificato imbarazzo – chi era deputato a lavorarci ha spiegato che comunque sarà corretta strada facendo. Singolare, dopo aver passato un decennio a scrivere e rivedere bozze. I contenuti sono noti, cambia la struttura, qualche denominazione, un po’ la missione (l’evangelizzazione viene prima della difesa della dottrina). Ma ancor più del confronto sulla costituzione, che ormai è legge e quindi osservazioni e appunti varranno poco o nulla, l’evento è dato dal fatto che parecchi tra i cardinali si conosceranno di persona e si vedranno per la prima volta. Francesco ha allargato la rappresentanza nel Collegio, lasciando fuori sedi tradizionali e immettendo pastori di chiese lontane e da sempre periferiche, ma non per questo ovviamente meno degne. Anche nei numeri dei fedeli rappresentati. Vescovi che Roma l’hanno vista poco e la curia ancora meno.  Presuli che però saranno chiamati, prima o poi, a entrare nella Cappella Sistina per eleggere il successore di Jorge Mario Bergoglio.

 

Nei conciliaboli romani questa era una delle principali preoccupazioni, lo spettro d’un’elezione al buio, con elettori che mai s’erano visti prima e che d’improvviso erano chiamati al gravoso impegno. Più pragmaticamente, un Conclave con buona parte dei cardinali non avvezzi alle consuetudini romane è facilmente riducibile a un confronto fra correnti, con poche figure note e forti  a convogliare i voti su questo o quel confratello (i cosiddetti kingmaker). Lunedì e martedì avranno l’occasione di conoscersi, parlarsi, guardarsi negli occhi e confrontarsi sullo stato della Chiesa. Il prossimo anno a Roma si tireranno le somme del cammino sinodale universale che ha alimentato tante speranze in certi episcopati, non solo europei. La Germania vuole cambiamenti profondi, dottrinali e pastorali, non semplici maquillage o documenti ben impostati destinati a fare bella figura negli archivi o sugli scaffali delle librerie. E così anche la Spagna, l’America latina. Sotto il cappello dello Spirito ci finisce di tutto, dalla richiesta di rendere la Chiesa più missionaria a quella di rendere facoltativo il celibato e di permettere il sacerdozio femminile, quasi che il problema fosse meramente numerico. La possibilità dello strappo è alto e non è un caso che da tempo perfino il cardinale Kasper, alfiere del fronte progressista, vada allertando che i rischi di deragliare finendo in qualcosa “di non cattolico” sono reali. I cardinali presi da ogni parte del mondo, vecchi e nuovi, discuteranno anche di ciò in una sorta di pre Conclave che anticipa di fatto quello vero e solenne che si tiene a ogni morte (o rinuncia) di Papa. Nelle stanze vaticane e negli appartamenti cardinalizi da almeno un anno si fa di conto, si studiano i profili dei cosiddetti papabili, chi alla ricerca  di qualcuno che possa continuare l’opera di Francesco, chi di qualcuno che possa riportare ordine in una Chiesa scossa da processi, eminenze cacciate e poi forse reintegrate, motu proprio l’uno dietro l’altro quasi fossero le bolle di consegna dei corrieri che portano i pacchi a domicilio, riforme a metà e il più delle volte contestate per la loro fragilità giuridica. Padre Thomas Reese, storico direttore della prestigiosa rivista America, gesuita e liberal, constata che il Collegio – che è opinione comune non sia uno dei migliori della storia quanto a livello intellettuale e spirituale – negli anni si è sempre più spostato dalla parte di Bergoglio, con profili in qualche modo a lui affini per l’idea di Chiesa e che quindi si potrebbe immaginare una scelta di continuità, anche se “nessuno sa come voteranno quando entreranno in Conclave”. Ecco a cosa servono i due giorni di concistoro a porte chiuse. 

 

Altro che Praedicate evangelium, qui c’è da sentire quel che si pensa della Chiesa e di quel che dovrà essere un domani, sballottata tra l’incedere della secolarizzazione a occidente, attraversata da nostalgie di un passato che non potrà tornare e da voglie di rivoluzionarla secondo le mode del tempo. Una Chiesa che anche sul fronte internazionale, dopo i successi dei primi anni di pontificato (la stretta di mano tra Obama e Raúl Castro sotto il lontano e benedicente sguardo di Francesco, l’aver evitato una guerra in Siria), arranca. L’accordo con la Cina, ad esempio: che fare? Nei prossimi mesi, è certo, sarà rinnovato, pur con tutti i dubbi espliciti perfino di chi a quel testo ha lavorato per anni (il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin). La Segreteria di stato  considera il dialogo con Pechino cosa buona e giusta, l’accordo un primo passo necessario ma che non ha dato tutti i frutti sperati e che per questo andrebbe migliorato. Il Papa, l’ha detto, la vede in altro modo: è soddisfatto e spera che l’intesa possa essere rinnovata senza troppi patemi. Una posizione, quella sulla Cina, che non trova enorme seguito tra i cardinali, anche tra quelli scelti personalmente da Francesco: uno dei più duri con il regime comunista cinese è il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo birmano di Yangon, legatissimo al cardinale Joseph Zen, arrestato nei mesi scorsi a Hong Kong e in attesa di processo perché imputato d’aver appoggiato le manifestazioni contro Pechino. Bo da anni invita a evitare la trappola preparata dai maggiorenti di Xi Jinping, ricordando le minoranze oppresse da Pechino e schierandosi a difesa dei perseguitati.

 

Non va meglio in Europa, con la guerra russo-ucraina: è di giovedì sera la notizia che il ministero degli Esteri di Kyiv ha convocato il nunzio apostolico cui è stata presentata formale protesta per le parole del Papa su Daria Dugina, da lui definita “vittima innocente” della guerra. Francesco ha così implicitamente fatto propria la teoria di Mosca secondo cui la figlia dell’ispiratore dell’ideologia del “mondo russo” che vorrebbe annettersi l’Ucraina sarebbe stata assassinata da messi mandati da Kyiv. Proprio qui, nelle ultime settimane, circolano caricature che vedono il Papa con la “Z” delle forze russe al posto della croce pettorale. Le parole sull’abbaiare della Nato ai confini della Russia e i riferimenti alle provocazioni occidentali non hanno di certo rafforzato quanto ad autorevolezza la ribadita terzietà della Santa Sede, che si è trovata nella scomoda posizione di essere criticata dagli ucraini e di non essere apprezzata dai russi – prova ne è che mentre il Papa andrà in Kazakistan per il Congresso dei leader religiosi, sperando di incontrare Kirill, quest’ultimo ha dato forfait. Neanche in America latina le prospettive sono migliori, basti pensare alla persecuzione della Chiesa in Nicaragua: davanti a un generale silenzio del Vaticano – appena interrotto dalle parole di Francesco all’Angelus, molto prudenti – sono state diverse conferenze episcopali nazionali (compresa quella italiana) a diffondere messaggi di forte sostegno alla libertà religiosa e d’incoraggiamento ai vescovi locali. Il confronto è naturale e la differenza eclatante.

 

Sono  molti i capitoli sui quali i cardinali, di nuova e antica creazione, saranno chiamati a confrontarsi per la prima volta in questa sorta di pre Conclave che si vorrebbe dominato dalla parresia, dal parlare franco e libero. Non ci sono in ballo dogmi di fede, solo il modo d’intendere la Chiesa e di individuare le priorità che dovrà darsi nei prossimi decenni. 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.