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Il caso

Il carisma di Comunione e liberazione è comunitario, non personale

Vincenzo Tondi della Mura

Le dimissioni di don Julián Carrón trovano fondamento in decisive ragioni di ordine teologico e canonico

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Le dimissioni di don Julián Carrón dalla carica di presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, comunicate ai relativi componenti attraverso una lettera carica di significati, rimandi ed emozioni, presentano una dignità ecclesiale che trascende le contingenze pure eventualmente coinvolte. In tal senso, esse non possono essere ridotte alla stregua di una scelta personale e strategica, quasi a trattarsi del “gesto di un uomo amareggiato” e determinato a lanciare “una sfida a chi l’ha spinto a farlo”; nemmeno possono essere degradate all’intenzione del sacerdote di “togliere alibi ai suoi critici interni, spogliarsi di ogni potere e liberare così la scelta della nuova guida dalla sua tutela”, come invece ha sostenuto Antonio Polito sul Corriere della Sera. Piuttosto, esse trovano fondamento in più decisive ragioni di ordine teologico e canonico, che la lettera lascia trasparire e che occorre cogliere nella loro radicale essenzialità, pena la relativa incomprensione e vanificazione. 

Scopo dichiarato delle dimissioni è stato quello di favorire la libertà delle prossime fasi della vita della Fraternità, così da sollecitare la responsabilità di ciascuno al riguardo. Dopo avere evidenziato la necessità che “il cambiamento della guida a cui siamo chiamati dal Santo Padre […] si svolga con la libertà che tale processo richiede”, don Carrón ne ha precisato il fine: “[portare] ciascuno ad assumersi in prima persona la responsabilità del carisma”. 
Si tratta di parole per nulla scontate, che dimostrano una maturata comprensione e condivisione di quanto chiesto da Papa Francesco. All’origine vi è la questione sulla natura del carisma di Comunione e liberazione: se da intendere come esclusivamente personale e, dunque, come trasmissibile dal fondatore al successore alla stregua del mantello dato da Elia a Eliseo, riprendendo l’esemplificazione ironicamente stigmatizzata dal vescovo di Roma nel corso dell’incontro con i movimenti ecclesiali dello scorso 16 settembre 2021 (“[…] un caso che mi sembra strano, come ‘lo spirito del fondatore è disceso su di me’. Sembra una profezia di Isaia! ‘Lo ha dato a me! Io devo andare avanti sola o solo perché il fondatore mi ha dato il suo mantello, come Elia a Eliseo. E voi, sì, fate le votazioni, ma sono io il comando’. E questo succede! Non sto parlando di fantasie. Questo succede oggi nella Chiesa”); ovvero, al contrario, se da considerare come collettivo, in quanto donato per opera dello Spirito Santo non a singoli individui, bensì a una pluralità sincronica e diacronica d’individui per l’utilità della Chiesa, come ha spiegato padre Ghirlanda nel corso di una conversazione con i Memores Domini. Espressione, questa, che richiama quella di don Giussani, cara a tanti: “in ogni compagnia vocazionale ci sono sempre persone, o momenti di persone, da guardare”.

Il contenuto della lettera di dimissioni non lascia adito a dubbi. Il rinvio di don Carrón all’assunzione in prima persona della responsabilità del carisma non è fine a sé stesso; né tantomeno la perseguìta libertà delle prossime fasi della vita della Fraternità serve a scimmiottare le prescrizioni delle istituzioni democratiche. Il carisma di Comunione e liberazione non è personale, ma comunitario. Per il suo tramite tanti fedeli (magari prima pure estranei all’esperienza della Chiesa) sono stati toccati dallo Spirito Santo, afferrati nell’esperienza che ne è stata suscitata e che ora è affidata alla loro responsabilità. Tutti sono parimenti e drammaticamente responsabili dello stesso strumento (carisma), che per grazia e senza merito ha afferrato ciascuno attraendone la libertà.

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Basta questa consapevolezza per vivere con libertà e responsabilità i prossimi passi della Fraternità. Commentando la propria conversione, Giovanni Testori scriveva: “Figlio ero. Di cos’altro avevo bisogno?”. Le dimissioni di don Carrón rilanciano ciascuno nella consapevolezza della figliolanza dalla Chiesa per il tramite del carisma di Comunione e liberazione. Ora sarà sempre più necessario comprendere la grazia della storia che ricomincia; sarà opportuno non “discutere”, ma “riflettere” sulle implicazioni delle responsabilità chieste a ciascuno. Come aveva spiegato ai Memores Domini padre Ghirlanda: “la discussione parte dalla contrapposizione delle idee, quindi, in genere dalla scarsa disposizione all’ascolto dell’altro. Il che non costruisce niente. La riflessione, invece, parte innanzitutto da un atteggiamento di preghiera, quindi di ascolto dello Spirito che crea la comunione tra i membri del gruppo che si riunisce, ponendolo sempre nel contesto ecclesiale in cui si trova. Nell’ascolto dello Spirito si è nella disposizione dell’ascolto dell’altro facente parte del gruppo e della Chiesa di cui si è parte viva e al cui servizio ci si pone. Solo questo è costruttivo. Può aiutare a introdurre le riunioni la lettura di 1Gv 4, 1-6”. 

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Occorre andare avanti nell’umiltà e nella consapevolezza che è il Signore che fa la Chiesa e che la partecipazione di ciascuno alla Sua opera consisterà anzitutto nella grata letizia del cuore. Il resto – riprendendo Mounier – accadrà “quasi per distrazione”.

Vincenzo Tondi della Mura è ordinario di diritto costituzionale Università del Salento, licenza in Diritto canonico

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