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Sante ingerenze sul ddl Zan

Matteo Matzuzzi

Il teologo Mancuso: “La Chiesa di Bergoglio è indietro di 200 anni”. L'amore è finito, non è più il loro Papa

È probabile che anche stavolta si dirà che il Papa non c’entra nulla, che ha scoperto tutto leggendo i giornali, che lui il ddl Zan lo apprezza e che è tutto un complotto della solita curia nera che passa le giornate a tessere trame oscure. Qualcuno l’ha già fatto, il biblista Alberto Maggi ad esempio è convinto che si tratti di un trappolone a danno del Pontefice: “Mi sembra chiaro che Papa Francesco abbia i bastoni tra le ruote e questi non vengono dagli esterni ma dall’interno della Chiesa. Quelli che non tollerano questa sua apertura”. Che poi non si capisce bene quale sarebbe questa “apertura”, ammesso che non si possa ritenere tale il celebre “chi sono io per giudicare?” che valse al Papa la copertina della rivista gay americana Advocate, incoronato uomo dell’anno 2013. Dire che il Papa non sapeva niente è un gioco che ormai ha fatto il suo tempo e che non rende onore prima di tutto a lui. Lo schema si era già visto pochi mesi fa con il responsum ad dubium sulla benedizione delle coppie omosessuali in chiesa. Responsum negativo che era stato approvato, seppure in una forma particolare e a tratti ambigua, dal Pontefice. Il giorno dopo non si contavano, da tanti che erano, gli editoriali e le spiegazioni sul fatto che Francesco aveva approvato la risposta dell’ex Sant’Uffizio pur non condividendolo.

 

Stavolta davvero c’è qualcuno che può pensare che la nota verbale consegnata all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede sia una decisione presa in solitudine da mons. Paul Richard Gallagher, quasi si trattasse di un temerario combattente per la libertà che rischia di far scoppiare un caso diplomatico tra le due sponde del Tevere senza la benedizione di Francesco? Soprattutto in un Vaticano, in questo Vaticano, dove non si fa nulla senza che il Papa abbia dato il proprio assenso. Vito Mancuso, teologo progressista e scrittore, non a caso ha dato fuoco alle polveri scrivendo su Twitter: “Questa è oggi la chiesa di Papa Francesco sempre più identica a quella chiesa cattolica rimasta indietro di 200 anni (parole del card. Martini). Francesco come Pio IX? Prima incendiario, e dopo il più zelante dei pompieri?”. Ecco la tempesta annunciata la scorsa settimana da un altro insospettabile, il professor Alberto Melloni che metteva in fila opere e azioni di Bergoglio in questo “giugno nero della Chiesa”. 

 

È un momento complicato per quanti sostenevano il nuovo corso “intimista” che aveva sepolto il ventennio interventista di Camillo Ruini, l’epoca delle ingerenze della Chiesa nelle faccende italiane, con gli appelli all’astensione ai referendum del 2005 e le benedizioni al centrodestra di Silvio Berlusconi anziché al centrosinistra del cattolico democratico Romano Prodi. Altro che posizione della Cei su una tornata referendaria: qui, all’ottavo anno di pontificato di Francesco, per la prima volta nella storia la Santa Sede invoca il rispetto del Concordato per opporsi a un disegno di legge in discussione in Parlamento. Non era mai accaduto prima e accade nella stagione in cui i rapporti con le istituzioni erano stati demandati ai vescovi dal Papa in persona, durante il primo incontro tra di loro in San Pietro, poche settimane dopo l’elezione. Di acqua nel Tevere, da allora, ne è passata parecchia. Per molti, pure troppa. 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.