Roma. Le vestali della papolatria avevano subito derubricato il fattaccio – il Papa che il 31 dicembre, in piazza San Pietro, schiaffeggia sulle mani una fedele un po’ troppo calorosa e se ne va con un’espressione che definire corrucciata è usare un eufemismo – a normale reazione di un ottantareenne che stava per cadere a terra, strattonato con veemenza come fa un felino africano intento a sbranare un’antilope al termine della fruttuosa battuta di caccia. Dall’altra parte, la militanza antibergogliana gridava allo scandalo, l’ennesimo, di un Papa autocrate che dietro il volto sornione nasconde un carattere impulsivo, poco paziente. Nulla di nuovo, insomma: la solita guerricciola tra chi si scioglie in lacrime di commozione come un sorbetto a ogni gesto del Papa – qualunque esso sia, anche se si tratta di fare il segno della croce sul capo di un bambino – e chi in ogni sguardo di Bergoglio vede l’ombra di un eretico satanasso. Poi ci ha pensato lui, Francesco, a chiarire che prendere a schiaffi sulla mano una signora, per di più poco dopo aver terminato la celebrazione dei Primi vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, non è indicato. L’ha fatto pubblicamente, all’Angelus, con un’incrinatura nella voce che denotava un po’ di commozione: “Tante volte perdiamo la pazienza; anch’io, e chiedo scusa per il cattivo esempio di ieri”. Al Pontefice regnante piace il contatto con le folle, in papamobile fa giri e giri della piazza, beve il mate e sorride benché sovente il gusto non gli ricordi proprio l’Argentina, scambia lo zucchetto anche quando quello donatogli non è proprio lindo, si presta a decine di selfie che alla fine risultano più stressanti (per lui) di un’udienza con qualche gruppo di teologi.
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