Papa Francesco celebra la messa di chiusura del Sinodo sull'Amazzonia (LaPresse)

I risultati del Sinodo si vedranno ben lontano dall'Amazzonia

Matteo Matzuzzi

Finita l'assemblea, è già lunga la lista dei vescovi che chiedono di allargare le novità al mondo intero. Come previsto

Roma. Alla fine sarà il Papa – abbastanza contrariato e infastidito dalle opposizioni che si sono registrate al Sinodo amazzonico, come si capisce rileggendo il suo discorso in spagnolo tenuto a conclusione dell’assise, tra citazioni di Péguy, lodi a Greta Thunberg e ramanzine ai cattolici che si concentrano sulla “cosetta” anziché allargare lo sguardo alle cose che contano davvero – a decidere l’esito del Sinodo per l’Amazzonia che si è chiuso sabato sera con la votazione, paragrafo per paragrafo, del documento finale.

 

Francesco vorrebbe firmare l’esortazione apostolica entro la fine dell’anno – “dipende da quanto tempo avrò per pensare” –, ma in ogni caso è lecito non attendersi troppe sorprese rispetto al testo uscito dall’Aula nuova. Più che altro, sarà interessante capire quali saranno i paletti che Bergoglio pianterà per far sì che l’ordinazione sacerdotale di “uomini idonei e riconosciuti dalla comunità che siano diaconi permanenti” non diventi una prassi anche a migliaia di chilometri dai villaggi della foresta amazzonica. Ammesso che, naturalmente, si voglia limitare l’apertura – che c’è, seppure sia passata a fatica – a quella particolare area geografica.

 

Pur trattandosi d’un Sinodo speciale, infatti, è chiaro che la portata delle decisioni papali riguarderà la chiesa universale, come peraltro avevano avvertito i vescovi tedeschi già in primavera. Non è un caso che a quarantott’ore dalla fine dell’assemblea vi sia già chi si dice favorevole a dare il via libera a preti sposati e diaconesse, come ha fatto ad esempio mons. Robert McElroy, vescovo ultraprogressista di San Diego e padre sinodale. Perché i preti mancano ovunque, non solo in Amazzonia. Mancano nella ricca Germania, che da tempo ha avviato l’accorpamento delle parrocchie in gigantesche unità pastorali formate ciascuna da migliaia d’abitanti, ma mancano anche in Italia. Basterebbe uscire da Roma, che pullula di preti e messe, per accorgersene. Non serve salire su una canoa e perdersi tra la fitta vegetazione latinoamericana. Proprio per questo è pura utopia ritenere che nulla sia cambiato e che gli auspici dei padri restino limitati a un caso particolare e drammatico nel contesto di una impossibilità chiara di assicurare i sacramenti a così tanti cattolici.

  

E’ passata la mediazione del cardinale Christoph Schönborn, che non a caso fin da subito aveva spostato l’attenzione sul diaconato permanente più che sui viri probati – dei quali nel documento finale non v’è traccia – sottolineando con ciò che non si sarebbe trattato d’alcuna rivoluzione, ma solo di un’implementazione di un istituto già presente. Ma la soluzione trovata – ambigua nella formula, come s’evince dal paragrafo 111, che non a caso è quello che ha ottenuto il maggior numero di non placet – è il primo passo verso qualcosa di nuovo. Lo riconoscono gli stessi padri, come dimostra l’entusiasmo dei più accesi sostenitori della rivoluzione, a cominciare dal vescovo-prelato Erwin Kräutler, teologo della liberazione trapiantato in Brasile e fautore del sacerdozio femminile e della fine del celibato sacerdotale. Il Sinodo amazzonico ha avviato un processo che porterà lontano. Il cardinale peruviano Pedro Barreto S.I. ha parlato ieri della necessità di “mettere il vino nuovo in otri nuovi”, lodando una chiesa che si è “amazzonizzata” grazie a quanto s’è visto e vissuto in queste tre settimane a Roma. Si vedrà presto quanto l’amazzonizzazione contagerà le sponde del Reno e il resto dell’Europa senza più preti e, in parecchi casi, senza più fedeli da ospitare nelle chiese rimaste aperte.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.