Papa Francesco

Il mistero di questo Papa che adesso se la prende con l'omosessualità

Giuliano Ferrara

A proposito di “relazioni pericolose”. Come si fa a mettere in trono desiderio e amore per approdare poi all’esclusione da discernimento dei disinibiti?

Questo Papa proprio non lo capisco. Non lo avverso per principio, a tutela di una tradizione che per me non è un portato confessionale ma cultura, memoria, bellezza. All’inizio il trasgressore era stupefacente, ho cercato di studiarlo, sono andato alle fonti con i miei poveri mezzi, ho letto il suo ispiratore Pietro Favre, da lui santificato come primo prete della Compagnia di Gesù, soave combattente e pellegrino nell’Europa della Riforma luterana. La riabilitazione del relativismo cristiano aveva molte facce, poteva essere esposta a diversi esiti, in teoria. Con mezzi ignaziani, voleva ribaltare la relazione tra chiesa e mondo.

 

Poi questo Pontefice troppo piacione ha cominciato a annoiarmi. Dal “chi sono io per giudicare?”, una maniera umile e evangelica di cercare di recuperare terreno nel mondo secolarizzato, Francesco è passato alla pastoralizzazione o pastorizzazione della dottrina, al mutismo pieno di disprezzo per i suoi contraddittori filiali, a una sequela impressionante di follie e strafalcioni nel governo della chiesa sofferente e impoverita in ogni senso, a una predicazione sociale e ecologica primitiva, alla chiusura, all’arroccamento combriccolare nella Casa di Santa Marta, più inaccessibile alla ragione discorsiva del Palazzo Apostolico, con una geopolitica da Mosca alla Cina ispirata a criteri di realismo piatto eccetera.

 

Ora è stato raggiunto di nuovo dalla vasta campagna antiecclesiastica sugli abusi del clero, evocata e attirata dal suo affettato anticlericalismo, con intere conferenze episcopali sconvolte e messe in mora, convinte a farsi inquisire dal braccio secolare del potere sociologico e culturale che determina, insieme a comitati e avvocati, il risarcimento storico per una presunta colpa collettiva che fu alla base dell’assedio di Benedetto XVI e della sua Renuntiatio o dimissioni. Un cedimento pauroso. Ora se la prende con l’omosessualità, che “è di moda ma non va bene”, propone una logica di esclusione in nome del discernimento, contraddicendo palesemente le sue stesse premesse di amore e misericordia.

   

Nel romanzo epistolare del Settecento “Le relazioni pericolose”, storia di seduzione libertina e di vendetta in un mondo di sentimenti e passioni eterosessuate, Choderlos de Laclos fa dire al visconte di Valmont, in corrispondenza con la sua complice marchesa di Merteuil, l’essenza del problema. Valmont irride con sottile malizia la donna sposata e contegnosa che vuole sedurre (la “devota”, la chiama), e che comincia a cedere. Irride “questi sentimenti di un’anima pura e tenera che teme la felicità che desidera, e non smette di difendersi, anche quando smette di resistere”.

 

Ecco, questo temere la felicità che si desidera e questo continuare a difendersi anche quando la resistenza è cessata è la migliore definizione, e la più raffinata, del concetto di “inibizione”. La cultura omosessualista e la prassi corrispondente non sono alcunché di demoniaco, sono solo una perdita di inibizione sociale, oltre che psicologica e individuale, in nome del desiderio e dell’amore. Matrimonio, filiazione, promessa, attesa diventano non più doni creaturali di due generi in uno, una sola carne, come vorrebbe il catechismo biblico associato con la vecchia cultura tradizionale, diventano dispositivi foucaultiani del governo di sé e degli altri, che attraverso una rivoluzione del costume dev’essere un governo liberato, libero, infine libertino. Diventano tollerabilissime ma insidiosissime “relazioni pericolose”.

 

Come si fa a mettere in trono desiderio e amore, riconciliando con il secolo la contraddizione etica da sempre nelle corde della religione, e di quella cattolica in particolare, per approdare poi all’esclusione da discernimento dei disinibiti, quelli che “smettono di temere ciò che desiderano e di difendersi quando hanno smesso di resistere”, ai quali viene a mancare d’improvviso l’abbraccio della tolleranza infinita che era il segno distintivo dell’apostolato francescano? Mistero.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.