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Karl Lehmann, addio all'anima del cattolicesimo progressista europeo

Matteo Matzuzzi

Per Papa Francesco "ha contribuito a plasmare la vita della chiesa e della società". Chi era il cardinale che fece penare Giovanni Paolo II e che è morto domenica

Roma. Il cardinale Karl Lehmann ha incarnato l’anima del cattolicesimo progressista europeo dell’ultimo trentennio. Per ventun’anni ha ricoperto la carica di presidente della Conferenza episcopale tedesca, dal 1987 al 2008, quando si dimise per ragioni di salute. Ancor più lungo è stato il suo periodo alla guida della diocesi di Magonza, dal 1983 al 2016. Teologo di rango, allievo prediletto di Karl Rahner – ne fu assistente alla Westfälischen Wilhelms-Universität di Münster –, Lehmann ha rappresentato lo spirito più “aperto” dell’episcopato tedesco, che più d’una volta si è scontrato con il Vaticano di Giovanni Paolo II e la congregazione per la Dottrina della fede del connazionale Joseph Ratzinger. Fu anche per questo che Karol Wojtyla gli concesse la porpora solo nel 2001, quando aggiunse il suo nome a lista ormai chiusa: al termine dell’Angelus del 21 gennaio, quello in cui il Papa elencò l’uno dopo l’altro i trentasette nomi prescelti, Lehmann non figurava. Apriti cielo: dalla Germania fecero notare che trattavasi di umiliazione, che l’ennesima esclusione del capo della potentissima e ricchissima Conferenza episcopale tedesca avrebbe avuto delle conseguenze. Si disse che intervenne la Segreteria di stato, consigliando al Pontefice polacco di inserire anche il nome di Lehmann per prevenire problemi e fratture pericolose. Giovanni Paolo II lo fece, una settimana dopo, quando allungò la lista di qualche altro porporato. Indiscrezioni dell’epoca parlarono di un Papa riluttante fino all’ultimo, deciso sì a includere altri cardinali, ma non Lehmann. Alla fine cedette: il vescovo di Magonza avrebbe ricevuto la berretta, ma per ultimo.

 

Basta con il centralismo romano

Dopotutto, solo qualche anno prima lo scontro con Wojtyla aveva raggiunto i livelli di guardia: Lehmann si schierò a difesa dei consultori tedeschi che tra le altre cose rilasciavano i certificati necessari per praticare l’aborto. Il Papa chiese che tutti i vescovi di Germania abbandonassero immediatamente i consultori, mentre Lehmann sosteneva che “una chiesa di popolo non può non occuparsi dei problemi della società”. Sempre nel 2000, a Giubileo aperto, il vescovo di Magonza poneva la questione delle dimissioni del Pontefice “qualora non fosse più in grado di svolgere la sua missione”.

 

Per avere conferme sull’orientamento del cardinale morto domenica dopo lunga malattia, basta leggere il telegramma che Papa Francesco ha inviato ieri al vescovo in carica di Magonza, mons. Peter Kohlgraf: Lehmann, ha scritto Bergoglio, “ha contribuito a plasmare la vita della chiesa e della società. Sempre ha avuto a cuore l’apertura alle domande e alle sfide del tempo e di offrire risposte e orientamenti a partire del messaggio di Cristo, per accompagnare le persone lungo il loro cammino, cercando ciò che unisce oltre i confini delle confessioni, convinzioni e stati”. Nel 1968 divenne professore di Teologia grazie anche all’aiuto di un collega, Joseph Ratzinger, con il quale molti anni dopo si sarebbe scontrato più volte, nonostante il carattere affabile e autoironico: leggendarie sono state le sue partecipazioni al carnevale locale, con tanto di travestimenti a tema. Con la curia romana rapporti quasi sempre tesi. Prima sulla morale familiare, quando Lehmann insieme a Walter Kasper e Oskar Saier (era il 1993), inviò a Roma una lettera in cui si chiedeva di autorizzare la riammissione alla comunione dei divorziati risposati. In quella circostanza la risposta arrivò a firma di Ratzinger, che rispedì al mittente la richiesta. Qualche anno dopo, Lehmann fu tra coloro che espressero pubblicamente dissenso rispetto alla Dominus Iesus, la dichiarazione scritta dall’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio in cui si riaffermava l’unicità salvifica di Cristo e della chiesa cattolica. Da sempre fautore del dialogo ecumenico con il mondo protestante (luterani in primis), il vescovo di Magonza – che nel 1984 era entrato a far parte del circolo per il dialogo tra la Conferenza episcopale tedesca e il Consiglio della chiesa evangelica di Germania – temeva che quel testo dal respiro ben più corto dei grandi documenti conciliari (così disse) avrebbe potuto arrecare danni notevoli al dialogo tra le confessioni cristiane. Nel 2005, il diario di un anonimo cardinale pubblicato sulla rivista Limes raccontava, passo dopo passo, il Conclave che portò all’elezione di Benedetto XVI. In un passaggio si sottolineava che “un gruppo il cui nocciolo pensante è costituito da Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca e da Godfried Danneels, arcivescovo di Bruxelles, e al quale fanno capo un significativo drappello di cardinali statunitensi e latinoamericani, oltre che qualche porporato della curia romana” fece di “Bergoglio l’uomo di riferimento per l’intero gruppo dei cardinali più riluttanti a votare il decano del Sacro collegio”.

 

Negli ultimi tempi – Francesco accettò le dimissioni dalla guida della diocesi solo nel 2016, al compimento dell’ottantesimo compleanno, derogando di ben cinque anni dall’età canonica prevista per il pensionamento – Lehmann aveva riproposto il tema del superamento del celibato obbligatorio per i sacerdoti nonché la necessità di aprire al diaconato femminile. Su tutto, il sogno di salvare le chiese locali “dalle secche del centralismo romano”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.