Papa Francesco con il Papa emerito, Benedetto XVI (foto LaPresse)

Rod Dreher risponde alla "calunnia" della Civiltà Cattolica che scomunica l'Opzione Benedetto

La rivista dei gesuiti mette a confronto il pensiero dall’intellettuale americano e ortodosso russo con l'eresia dei donatisti. La replica: “La vera ragione degli attacchi è affermare un potere, un dominio su chi dissente”

Nell’ultimo quaderno della Civiltà Cattolica, il giornale dei gesuiti, Andreas Gonçalves Lind S.I. ha proposto un’analisi critica all’Opzione Benedetto delineata dall’intellettuale americano e ortodosso russo Rod Dreher, dal titolo: “Qual è il compito dei cristiani nella società di oggi?”. Il sottotitolo – “Opzione Benedetto ed eresia donatista” – fa capire dove va a parare il colto recensore che collabora con l’Università di Namur, in Belgio, e l’abstract chiarisce ulteriormente: “L’articolo prende parte al dibattito e, in particolare, fa notare come questa ‘opzione’ comporti il rischio di una concentrazione esclusiva sulla rigidità morale, sulla purezza dottrinale e sulla ricostituzione di una società parallela, piuttosto che sulla costruzione dell’unità e della comunione all’interno della chiesa e con tutti gli uomini di buona volontà”.

 

L’idea di Dreher, elaborata in una decina di anni di riflessione sullo spazio del cristianesimo nella società post cristiana e poi fissata nel libro The Benedict Option – vivacemente, e talvolta ferocemente, dibattuto negli Stati Uniti e non solo – trae ispirazione dal passo conclusivo del saggio di Alasdair MacIntyre Dopo la virtù e fa perno sull’idea della “ritirata strategica” dei cristiani seriamente impegnati con la fede da un mondo profondamente ostile alla loro presenza, un riadattamento postmoderno del movimento di Benedetto da Norcia, che nel suo presente tumultuoso si ritirò nei monasteri per quaerere Deum, come ha detto un altro Benedetto, e da questa ricerca del permanente nel provvisorio nacquero, quasi come effetti collaterali, anche la cultura e la creatività che ricostruirono l’Europa. La ritirata di cui parla Dreher è, appunto, strategica, non è una ritirata tout court. Non perora la causa di un abbandono senza appello della società secolarizzata incompatibile con il cristianesimo, ma invita i cristiani a “rimarcare le linee di appartenenza” per ritrovare e irrobustire le radici della fede, con lo scopo di attrezzarsi per la perigliosa attraversata del mondo contemporaneo. E’ un’idea che abbraccia la logica benedettina, nel senso di Joseph Ratzinger, delle “minoranze creative” più che quella delle chiese protestanti che in America si sono rifugiate nelle lande desolate per sfuggire al mondo peccaminoso e satanico, e hanno finito per autodistruggersi. In The Benedict Option, il commentatore di The American Conservative usa l’immagine dell’arca di Noè, approntata su indicazione di Dio per resistere al diluvio e poi ritornare sulla terraferma, non per una vita alla deriva.

 

Il recensore gesuita la vede diversamente. L’articolo mette a confronto l’Opzione Benedetto e l’eresia dei donatisti, i seguaci di quel Donato che nella chiesa dei primi secoli castigava i vescovi che avevano chinato il capo alle persecuzioni di Diocleziano, e scova nelle pieghe del pensiero di Dreher la colpa suprema dell’arroganza, connessa “a un peccato ecclesiale contro l’unità e la comunione”. Come i donatisti, i fautori dell’Opzione Benedetto si ritengono migliori dei cristiani comuni, figurarsi delle genti scristianizzate, e questa presunzione li porta a costruire forme di vita separate ed esclusive prive di misericordia, dialogo, comprensione. Lind si districa fra le congiunzioni avversative e offre inutili premesse cautelative (“senza, ovviamente, cadere nell’eresia, in Dreher si colgono gli echi della voce di Donato”), ma infine arriva a una sonora condanna del dreherismo, un donatismo in salsa barbecue. 

 

“Nella loro volontà – scrive la Civiltà Cattolica – di identificarsi con la chiesa primitiva dei martiri perseguitati, i donatisti non accettavano un modo diverso di vivere e praticare la fede. Anche nel nuovo contesto storico, in cui la persecuzione era terminata, sentivano che il loro essere perseguitati dava conferma del loro essere i veri e buoni cristiani. Così facendo, quei cristiani scismatici costituirono un piccolo partito di ‘gente pura’. Contrapponendo integer a profanus come la principale differenza tra chi apparteneva e chi non apparteneva alla chiesa, i donatisti tendevano ad ammettere soltanto membri irreprensibili”. Non è la prima volta che Dreher finisce sotto il fuoco polemico della Civiltà Cattolica. Lo scorso anno il direttore della rivista, Antonio Spadaro S. I. all’università di Notre Dame si è accodato ai critici che dipingono l’opzione di Dreher come il sintomo di un “complesso di Masada”, una sindrome dell’accerchiamento che viene opposta al cristianesimo aperto e dialogante incarnato da Papa Francesco: “La cosiddetta Opzione Benedetto – ha detto Spadaro – come Rod Dreher chiama il ritiro della chiesa all’interno di enclavi, è un errore, così come sarebbe un errore approntare risposte severe oggi per esprimere la nostalgia dei tempi andati”.

 

La vera ragione degli attacchi

Dreher, che produce testi con “fervore grafomaniacale” (la definizione è del New Yorker), sul suo blog ha risposto punto per punto a Lind, ma soppesando la recensione che condanna la sua proposta per interposta eresia ha concluso che questa “non è in nessun modo una critica in buona fede, ma una calunnia”. Una calunnia che, spiega Dreher in un’intervista con il Foglio, dice molto sulla tattica che una parte del mondo cristiano, e in particolare della chiesa cattolica, usa per delegittimare i critici: “Molte critiche che mi fanno non sono in realtà ciò che dicono di essere, sono pretesti. Nel caso della Civiltà Cattolica, sono stato attaccato per cose che non ho scritto. Quando questa dinamica si ripete per così tante volte, inizi a domandarti qual è la vera ragione degli attacchi. E la vera ragione è affermare un potere, un dominio su chi dissente. L’idea di fondo che emerge da questa critica è: siamo così misericordiosi che ti puniamo per farti capire quanto siamo misericordiosi. E’ un’ipocrisia totale. Vedi, il fatto che non riusciamo a dialogare dice qualcosa di brutto sulla nostra società in generale. In America non si può più parlare liberamente di qualsiasi cosa che riguarda la questione femminile, e lo stesso vale nell’ambiente cristiano: quando un conservatore tocca certe questioni non lo criticano, lo calunniano per screditarlo”. L’accusa di donatismo, poi, è un grande classico. E’ stata a lungo usata, in America, dalla parte più progressista della chiesa episcopaliana per attaccare i conservatori, “e il risultato è stato che i conservatori sono stati eliminati, e poco dopo la chiesa episcopaliana è sostanzialmente scomparsa”. Dreher, che anni fa è passato dal cattolicesimo romano all’ortodossia della Terza Roma, dice che “oggi la parte più aperturista della chiesa cattolica sta lavorando per delegittimare l’opposizione accusandola di non avere misericordia”.

 

Ma non si tratta soltanto di una spinta verso un cambio delle forme e dei metodi, per annunciare il cristianesimo all’uomo di oggi? “Cambiare le forme è ottimo – dice Dreher – e il cristianesimo lo ha fatto continuamente nella storia, ma non è ciò che sta succedendo oggi. Si tratta di una guerra sulla natura del Vangelo: o è qualcosa che ci converte a Cristo oppure è un annuncio confortevole che ci fa sentire a casa nel mondo. E’ una differenza enorme. Io credo che siamo chiamati a seguire Dio per diventare perfetti come lui, si chiamati cioè alla santità. Il che non significa affatto essere rigidi e tristi, e infatti anche il rigorismo giansenista era sbagliato ed è falsa la storia che i cristiani che seguono l’ortodossia sono persone senza gioia, ma significa cercare la verità. Quando mi sono convertito al cristianesimo c’era un prete irlandese che mi ha introdotto alla fede, e mi ha detto: ‘Quando avrò finito con te forse non vorrai più essere cattolico, ma saprai cos’è il cattolicesimo’. E’ sempre più difficile trovare preti che ti propongono una vita verso la santità, ma è necessario”.

 

L’accusa di autoreferenzialità

Scrive Lind: “Dreher non si mostra interessato a instaurare un vero dialogo con chi ha un retroterra culturale e religioso diverso e segue stili di vita differenti. Risulta difficile finanche immaginare una possibilità di collaborazione con persone di opzioni diverse”. L’accusa di chiusura e autoreferenzialità è la più dura in un momento storico in cui il vocabolario cristiano abbonda di aperture, ponti, accoglienze, abbracci. Quando sente la parola “dialogo”, Dreher mette mano al rosario. “Sono sospettoso verso questo termine – spiega – perché ormai è una parola in codice per descrivere una persona progressista sinistra che dà lezioni a un conservatore. Quando c’è un caso di cronaca a sfondo razziale in America tutti parlano del ‘dialogo nazionale’, ma di cosa si tratta veramente? Dei progressisti che dicono di tacere a tutti quelli che non la pensano come loro. Qualcosa di simile è successo nella chiesa. Il vero scopo del dialogo è arrivare alla verità. Nel Concilio Vaticano II si sono confrontate visioni molto diverse, ma tutti avevano un’autorità riconosciuta e un vocabolario comune, mentre adesso è finito. Nel mondo cattolico si dibatte su due idee diverse della chiesa, e anche fra gli ortodossi si va in quella direzione”.