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Perché modificare lo statuto del Pd

Massimo Bordin

Il nuovo corso di Zingaretti e un cambiamento che ridisegna non solo la figura del segretario ma quella del partito, non più “americano” come nei desideri del suo primo segretario Veltroni

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Prosegue, e durerà almeno per tutta la settimana, l’attenzione dei giornali verso le conclusioni della assemblea nazionale del Pd e il nuovo corso di Zingaretti. In particolare ci si sofferma sulle conclusioni pronunciate dal neo segretario, indagando ulteriormente due aspetti: cosa pensa farà Renzi e e se il nuovo corso punta a riaccogliere D’Alema, Bersani e compagni. Senza nulla togliere ai quesiti, viene da pensare che c’è qualcosa di più interessante in quello su cui Zingaretti si è pronunciato con maggiore nettezza nel suo discorso e che pure apre nuovi scenari interessanti.

  

Per esempio il segretario ha detto che è sua intenzione proporre la modifica dello statuto del partito. Si era capito già dalla sua proposta per Gentiloni presidente del partito e contemporaneamente candidato per Palazzo Chigi. Eppure lo statuto parla chiaro: è il segretario del partito, eletto dalle famose primarie e ratificato dalla assemblea nazionale a essere il candidato premier designato dal partito. È una modifica indispensabile, scontata, che ridisegna non solo la figura del segretario ma quella del partito, non più “americano” come nei desideri del suo primo segretario.

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Ne discendono a cascata alcune conseguenze. Per esempio il primo caposaldo che precipita è la “vocazione maggioritaria”, peraltro per suo conto inadatta all’attuale sistema elettorale che pure porta il nome di uno dei dirigenti del partito. La modifica dunque ha una logica, restando comunque opinabile. È un fatto però che un partito americano che vota nelle primarie il candidato premier necessiterebbe di una costituzione americana, dunque di una modifica che il Pd da solo non potrebbe certo fare. Ammesso lo volesse, il che non è.

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