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Chi è Francesco Arcuri, "l'uomo del mandamento"

Massimo Bordin

Il racconto di Di Giacomo, testimone al processo per l'omicidio Fragalà, sul tentativo di ricostruire la Cupola 

In videoconferenza con la Corte di assise di Palermo da un carcere dell’Italia centrale dove è ristretto, il quasi sessantacinquenne Giovanni Di Giacomo, chiamato a testimoniare sull’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, in prima battuta e poche parole ha riassunto più di metà della sua vita. Entrato in carcere nel 1983 non ne è più uscito se non per una breve parentesi nel 1990 chiusa nel 1991 con un nuovo arresto tuttora in corso.

 

Mafioso emergente, nemmeno trentenne, nel mandamento di Porta Nuova-Palermo centro, entra in carcere all’epoca del pentimento di Buscetta e, a parte la parentesi di qualche mese all’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso, segue la parabola discendente di Cosa nostra dal carcere. Quando le cose cominciano ad andare male, dopo le stragi, suo fratello Giuseppe, già mafioso ma ancora incensurato, lo informa, andando a colloquio, sullo sfaldamento delle famiglie e dei mandamenti e Giovanni dà consigli, pareri da capo che forse non è. La polizia registra e si aggiorna, finché qualcuno uccide Giuseppe, causa involontaria della fuga di notizie.

 

Questa storia, che qui si è già raccontata, racchiude il punto chiave della vicenda dell’omicidio dell’avvocato Fragalà, su cui pure i due loquaci fratelli si interrogano. Nella trama dell’omicidio, secondo l’accusa, compare un personaggio, Francesco Arcuri, che si distacca, per ruolo e relazioni, dagli altri cinque imputati, che pure frequenta, accusati della esecuzione materiale del delitto, una raffazzonata paranza di piccoli mafiosi della dissestata famiglia di Borgo Vecchio. Arcuri, nell’ipotesi accusatoria, è “l’uomo del mandamento”, uno di quelli che cerca di ricostruire la nuova cupola. Domani vediamo come.