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Cosa sbaglia Martelli sul processo Trattativa

Massimo Bordin

Sarebbe bastato rispondere fin dall'inizio: "Tutti hanno fatto quello che dovevano"

Quanti sono quelli che, parlando pubblicamente di Falcone, lo chiamano per nome, Giovanni? Tanti. Quasi quanto quelli che chiamano “Marco” Pannella pur avendolo visto una volta da lontano. L’unica differenza sta nel fatto che la familiarità millantata per Falcone è nata post mortem, Pannella ci ha convissuto allegramente. Certamente non è il caso dell’ex ministro di Giustizia Claudio Martelli, che ben conosceva l’uno e l’altro e certamente chiamava per nome Pannella e probabilmente Falcone. Che bisogno aveva dunque di scrivere che, dopo l’omicidio Lima, Falcone gli disse “adesso può succedere tutto” facendola passare per una confidenza riservata?

  

Falcone disse quel giorno le stesse identiche parole a decine di giornalisti che l’indomani le pubblicarono. Non c’è da dubitare che le abbia dette anche a Martelli che ora ne rivendica quasi l’esclusiva nell’incipit di un commento alla sentenza sulla trattativa, su Panorama, che poi prosegue mantenendo lo stesso grado di attendibilità. Il fatto è che quel processo vede Martelli come una sorta di motorino di avviamento, quando invece di difendere l’operato del ministero, peraltro inappuntabile, scaricò eventuali responsabilità sul direttore del Dap Niccolò Amato che a sua volta le ribaltò sui suoi successori, secondo la logica dei processi stalinisti che l’ex ministro ben conosce per averla criticata. Da lì iniziò la slavina di un processo che in sentenza tratta male anche Martelli, che ora se ne duole. Eppure sarebbe bastato rispondere all’inizio “Tutti hanno fatto quel che dovevano, andate al diavolo”. Ma, come scrive un autore fortunatamente stimato anche al Quirinale: “Il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare”.