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La testimonianza di Tullio De Mauro al processo del fratello

Massimo Bordin

In quel dibattito per strada fra due fratelli, raccontato in corte d’Assise, c’è sul serio “la vera storia d’Italia”

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Tullio De Mauro fu sentito come testimone nel processo in corte d’Assise a Palermo sul rapimento e l’omicidio di suo fratello Mauro. Fu un processo inutile, istruito a più di trent’anni dai fatti, su basi confuse e non poté che portare all’assoluzione dell’unico imputato, Totò Riina. La logica sottesa all’indagine era quella del processo per così dire “storico”, giuridicamente sterile ma giornalisticamente interessante. Un’autentica aberrazione qui più volte criticata. Eppure non si può negare che quella testimonianza di Tullio De Mauro ebbe un momento molto significativo, anche se, processualmente parlando, prossimo all’irrilevanza. Fu quando il professore raccontò di essere andato a cercare suo fratello maggiore a Palermo, dove sapeva che si era nascosto nell’immediato Dopoguerra, pur non avendo più pendenze con la giustizia. Mauro de Mauro era stato “addetto stampa” della X Mas di Junio Valerio Borghese e verosimilmente non si era occupato solo di comunicati, anzi le accuse nei suoi confronti erano terribili e non resta che sperare per lui che fossero, se non infondate, eccessive. Tullio, suo fratello più giovane, studiava a Roma e frequentava i radicali di Pannunzio e l’Unione Goliardica di Pannella. Trovato il fratello, si informò cautamente se avesse modificato le sue idee politiche e raccontò ai giudici che sì, suo fratello le aveva cambiate. Non rinnegava il suo passato ma pensava che, nella nuova situazione, uno come lui dovesse schierarsi con i comunisti. In quel dibattito per strada fra due fratelli, raccontato in corte d’Assise, c’è sul serio “la vera storia d’Italia”. Naturalmente i pubblici ministeri non se ne sono accorti.

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