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Le scorte ai magistrati e la guerra in Libia

Massimo Bordin
Oggi qui si propone una ipotesi di scenario, come dicono nelle riunioni quelli che un po’ se la tirano. Mettiamo che a un magistrato impegnato a occuparsi di mafia a Palermo venisse assegnata una scorta di un solo agente.
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Oggi qui si propone una ipotesi di scenario, come dicono nelle riunioni quelli che un po’ se la tirano. Mettiamo che a un magistrato impegnato a occuparsi di mafia a Palermo venisse assegnata una scorta di un solo agente. Se il magistrato come contromisura, dopo essersi munito di una sacra immaginetta della Santuzza, denunciasse la grave sottovalutazione in una intervista al Fatto quotidiano, qui non lo si criticherebbe. Ma se, costruita questa ipotesi del terzo tipo, si volesse passare alla realtà, più d’uno, di destra e di sinistra, dovrebbe spiegare perché un medico e un infermiere inviati in Libia – che non è un posto più sicuro di Palermo, pur non sottovalutando la mafia – dovrebbero insieme accontentarsi della protezione di un solo armato. Tuttavia già questo trattamento viene equiparato a una sorta di invasione, ai famosi “boots on the ground”, praticamente a una nuova guerra di Libia. Forse perché anche i medici e i paramedici sono militari? Vero. E’ lecito dubitare che operino o girino in corsia con la mitraglietta in spalla. E qualcuno che protegga l’ospedale ci vorrà pure, o no? Emergency si affida per la protezione a personale locale, è vero. Infatti Gino Strada ha più volte ribadito che a lui i talebani non parevano poi così male, certo non peggio dei Marines. I malcapitati ministri Pinotti e Gentiloni devono uniformarsi a questa linea di pensiero per evitare di passare per colonialisti e guerrafondai?
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