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La questione dell'ergastolo e il “fine pena mai”

Massimo Bordin
Successo di pubblico e di critica a Venezia per il “docufilm” di Ambrogio Crespi “Spes contra spem”, dedicato al tema del cosiddetto ergastolo ostativo.
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Successo di pubblico e di critica a Venezia per il “docufilm” di Ambrogio Crespi “Spes contra spem”, dedicato al tema del cosiddetto ergastolo ostativo. La stampa ne ha parlato anche per la presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha pronunciato parole assai significative. Naturalmente erano presenti anche i radicali, che contro l’ergastolo negli anni Ottanta portarono al voto un referendum abrogativo. All’epoca i referendum raggiungevano ancora il quorum ma quello sull’ergastolo fu bocciato. A trent’anni di distanza, in epoca di Grilli e Travagli, si può pensare che il problema sia rimasto intatto ma forse non è così. Forse ci si può azzardare a pensare che se oggi esiste un tipo di ergastolo che ha bisogno di un aggettivo qualificativo che ne certifichi l’implacabilità, vuol dire che per la maggioranza dei casi il tragico “fine pena mai”, da non pochi ritenuto incostituzionale e da qualcuno addirittura blasfemo, ha finito per trovare qualche forma di attenuazione. La logica, oltre che il senso di umanità, hanno portato a un passo avanti nel concetto dell’esecuzione della pena finalizzata a redimere. L’ultimo ostacolo sta in un tipo di criminalità che si vuole essa stessa irredimibile. Gli “uomini delle sètte”, come li chiama qualche meridionalista calabrese, si sentono portatori di un diritto di vita e di morte sul prossimo. Questo è l’ostacolo che non è banalmente autoritario ma porta come conseguenza, per la sua rimozione, l’unica possibilità di una rischiosa scelta individuale. Almeno fino a che la mafia manterrà la sua forza attrattiva.
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