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Gli schieramenti in campo sul referendum costituzionale

Massimo Bordin
Sul referendum costituzionale si possono fare considerazioni assai dotte sul merito delle numerose questioni che solleva. E non è questa la sede.
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Sul referendum costituzionale si possono fare considerazioni assai dotte sul merito delle numerose questioni che solleva. E non è questa la sede. Poi si può fare attenzione agli schieramenti in campo. E’ vero che non dovrebbe bastare a farsi una opinione, perché si finisce per prescindere dal merito del quesito, ma  è inevitabile che sia un elemento da tenere in conto. Il fronte del No è eterogeneo, vi sono rappresentate posizioni inconciliabili, ma questo può accadere, anzi è normale che accada. La cosiddetta legge truffa non scattò nelle elezioni del 1953 grazie ai voti ottenuti dal Pci e dal Msi sommati a quelli, pochi ma ritenuti decisivi, di piccoli movimenti inconciliabili sia con i comunisti sia con i neo-fascisti. L’obiettivo comune era quello di evitare che la Dc godesse di un robusto premio di maggioranza e tanto bastò. Oggi la situazione è diversa. La maggioranza parlamentare gode già di un robusto premio in seggi che ha consentito al Pd con apporti esterni tutto sommato piccoli, anche se decisivi, di far approvare la legge ora sottoposta a referendum. La situazione più che le elezioni del ’53 ricorda certi referendum, in genere promossi dai Radicali, dove il sistema dei partiti era schierato in modo compatto per il No. Oggi per il No sono insieme Sinistra italiana, lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Rifondazione comunista, Movimento 5 stelle e anche una parte del Pd. Un arco politico talmente ampio che rende difficile considerare il no un voto “contro il sistema”. Da questo punto di vista la tanto criticata “personalizzazione” più che una bizzarria di Renzi poteva apparire una scelta obbligata. Con i suoi rischi, certo.
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