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Quarantaquattro ergastolani, in fila per tre col resto di due

Massimo Bordin
Non avrebbero potuto comunque marciare su Rebibbia. Non da soli, almeno.
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Quarantaquattro ergastolani, in fila per tre col resto di due. Non avrebbero potuto comunque marciare su Rebibbia. Non da soli, almeno. Comunque sarebbe stata necessaria adeguata scorta inevitabilmente costosa e già questo è bastato a fermare lo spostamento. In più ha giocato una certa esagerazione nell’articolo, sul fatto.it, che ha lanciato l’allarme, neanche si trattasse di un tentativo di evasione di massa. Ma si tratta di pericolosi detenuti ristretti secondo le norme del 41 bis, si obiettava da parte del quotidiano, in questo caso on line, cui sono care manette e “fine pena mai”. Neanche questo è del tutto vero, come spesso capita su quel quotidiano. Nello stesso articolo veniva data voce alla responsabile del comitato delle vittime della strage di via dei Georgofili, che esponeva indignata il caso di una attenuazione del regime di carcere duro per uno degli ergastolani, iscritto al partito radicale e interessato a partecipare di persona al congresso del suo partito, visto che si svolgeva in un carcere. Ieri si è capito meglio. Non c’è solo quel caso. Altri di quel gruppo non sono più al 41 bis. Una trentina, scrive addirittura Repubblica. “Hanno iniziato un percorso di cambiamento”, ha scritto Rita Bernardini, che ha competenze in tema carcerario assai maggiori della media di quelle dei giudici di sorveglianza. Ma non si sono pentiti, obiettano al Fatto. E il ministero, come era prevedibile, ha negato ogni permesso. Dunque i radicali hanno “perso”? Forse no. Hanno almeno permesso, con la loro richiesta, di chiarire cos’è veramente, cioè teoricamente, il 41 bis. Se parla domani qui.
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