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L'inadeguatezza della quinta sentenza sulla strage di Bologna

Massimo Bordin
Passate le commemorazioni le polemiche sulla strage di Bologna ora ritornano fra gli addetti ai lavori. La sentenza, quinta di una serie con tre passaggi in Cassazione, come è noto è definitiva ormai da tempo, eppure trova tutti concordi sulla sua inadeguatezza.
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Passate le commemorazioni le polemiche sulla strage di Bologna ora ritornano fra gli addetti ai lavori. La sentenza, quinta di una serie con tre passaggi in Cassazione, come è noto è definitiva ormai da tempo, eppure trova tutti concordi sulla sua inadeguatezza. Ci sono quelli che vorrebbero fosse esaminata una pista alternativa su autori e movente e quelli che si oppongono fieramente alla sola ipotesi di verificarne la fondatezza, ma, ecco il paradosso, neanche loro ritengono soddisfacente la sentenza, tant’è che chiedono a gran voce che si arrivi a una “verità” che la Cassazione non è riuscita mettere nero su bianco. Quella “verità” che prospettava la ricostruzione dell’accusa nel primo processo, via via amputata di indizi variamente interpretabili e ricostruzioni storiche suggestive ma non corroborate dai fatti. Basta andare a rileggersi la requisitoria del pm Libero Mancuso che in più passaggi ha la struttura del saggio politico e in taluni perfino del pamphlet. Una sorta di storia dello stragismo in Italia alla logica della quale sono piegate le vicende processuali. Quella logica, da un punto di vista giudiziario, non ha retto nel corso dei vari gradi di giudizio e alla fine solo due degli imputati, parte della complessa piramide di mandanti ed esecutori costruita dai pm bolognesi, sono stati condannati per la strage. Quelli che ora  si battono affinché siano seguite piste alternative dovrebbero però essere i primi a rendersi conto quanto non basti una narrazione suggestiva a risolvere un processo e dunque guardarsi dal commettere errori analoghi.
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