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Il reato di depistaggio e la strage di Bologna

Massimo Bordin
Tutti gli anni il 3 agosto qui usa prendere nota delle commemorazioni della strage alla stazione di Bologna. L’anno scorso vi avevamo avvertito che si portava il reato di depistaggio mentre il segreto di stato era a un passo dal modernariato.
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Tutti gli anni il 3 agosto qui usa prendere nota delle commemorazioni della strage alla stazione di Bologna. L’anno scorso vi avevamo avvertito che si portava il reato di depistaggio mentre il segreto di stato era a un passo dal modernariato. Quest’anno l’avvenuta approvazione del reato monstre è stata naturalmente celebrata, anche se non quanto avrebbe voluto l’onorevole, in quanto familiare di vittima, Bolognesi che auspica in nome della nuova fattispecie di reato sanzioni penali contro il magistrato in pensione Priore, anch’egli parente di vittima della stessa strage, ma colpevole di aver prospettato in un libro un’altra ipotesi sui responsabili, alternativa alla sentenza passata in giudicato. In compenso la questione della sollevazione del segreto di stato sembra comunque non passata di moda, malgrado la legge non lo preveda in nessun caso a proposito del reato di strage. Malgrado questo manicomio, si può scommettere che farà discutere la scelta, un po’ spericolata, del direttore del Tempo Gianmarco Chiocci che ieri ha affidato sull’argomento l’editoriale a Francesco Pazienza, uno dei pochi condannati nel processo sulla strage. Per aver depistato. Dunque anche prima dell’approvazione del reato monstre si poteva condannare per questo motivo. Naturalmente Pazienza, dopo aver scontato la pena, si proclama innocente. Ma non è questo il problema. Il fatto è che le sue argomentazioni su quella sentenza appaiono certo discutibili ma non irragionevoli. Se il suo editoriale voleva essere una provocazione, mi pare riuscita.
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