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Mafia Capitale, colpiti i clan Fasciani e Triassi, ma...

Massimo Bordin
La sentenza di ieri della seconda corte d’appello romana, al di là delle connessioni processuali tecnicamente intese, non è comunque una buona notizia per i magistrati della procura impegnati nel processo Mafia capitale.
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La sentenza di ieri della seconda corte d’appello romana, al di là delle connessioni processuali tecnicamente intese, non è comunque una buona notizia per i magistrati della procura impegnati nel processo Mafia capitale. I giudici d’appello dovevano giudicare imputati delle famiglie Fasciani e Triassi, alcuni dei quali condannati in primo grado per 416 bis o per reati per i quali era comminata l’aggravante relativa alla mafia. Tutto ciò ieri è caduto con la sentenza d’appello, dove pure 10 dei 18 imputati sono stati condannati, ma per semplice associazione a delinquere o per altri reati pur gravi ma senza l’aggravante di mafia. L’effetto concreto è sulle pene, presso che dimezzate, ma quello simbolico è ancor più significativo per il processone di Rebibbia. I Triassi di Ostia sono originari di Siculiana, in provincia di Agrigento, base delle famiglie Cuntrera e Caruana, narcotrafficanti di notevole e indiscussa caratura mafiosa. Secondo la polizia non si tratta solo di un caso e anche alcuni pentiti siciliani hanno parlato di una sorta di dependance di Cosa nostra sul litorale romano. I Fasciani, di origine abruzzese, secondo le indagini avrebbero raccolto il testimone dei Triassi, ridimensionati dopo una riunione a cui avrebbe partecipato anche un misterioso “don” venuto apposta dalla Sicilia. La mafia vera dunque, collegata da Carminati alla politica. Ecco, tutto questo con la sentenza di ieri viene a cadere, sbarrando la linea dell’accusa che dal distributore di benzina di corso Francia passando per il Campidoglio arrivava al water front dove qualcuno sognava una nuova Atlantic City. La sentenza non è definitiva ma certo la difesa saprà valorizzarla nel processo che si svolge a Rebibbia.
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