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Lo stile dell’avvocato Naso

Massimo Bordin
Ho ascoltato per intero l’arringa pronunciata dall’avvocato  Bruno Giosuè Naso nel processo d’appello al clan Fasciani di Ostia, in difesa di un condannato in primo grado a 25 anni e 6 mesi per reati associativi e relativi al traffico di droga e alla detenzione di armi. Naso ha riproposto la critica
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Ho ascoltato per intero l’arringa pronunciata dall’avvocato  Bruno Giosuè Naso nel processo d’appello al clan Fasciani di Ostia, in difesa di un condannato in primo grado a 25 anni e 6 mesi per reati associativi e relativi al traffico di droga e alla detenzione di armi. Naso ha riproposto la critica all’applicazione del reato di associazione mafiosa per i processi nati dall’inchiesta “mafia capitale”. Ha parlato, come già aveva fatto nel processo diciamo così principale, della pressione mediatica intorno alla vicenda già nel corso delle indagini, citando come esempio un articolo del 2012 di Lirio Abbate, storpiandone il nome da Lirio in Delirio. Capisco che altri colleghi lo difendano, anche perché è davvero un bravo cronista e da anni è sotto scorta avendo subito gravi intimidazioni. Ma non si può negare a un avvocato il diritto di descrivere dal suo punto di vista il clima di una inchiesta, tanto meno equiparare la critica all’atteggiamento dei media a una intimidazione o, peggio, a una minaccia. Lo stile dell’avvocato Naso è da processo politico, secondo un antico e famoso testo di Jacques Verges, pubblicato da Einaudi, anche se le idee politiche del penalista romano credo siano agli antipodi del mitico “avvocato del Diavolo”. Inevitabile che nascano polemiche, ma occorre evitare l’identificazione fra l’avvocato e il suo assistito basandosi sulla impostazione della difesa. Ai tempi del terrorismo una parte della sinistra si è battuta per denunciare questo rischio. Il criterio deve valere sempre, anche per imputati e avvocati politicamente diversi.    
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