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Il segreto di stato sulla strage di Bologna era una balla

Massimo Bordin
Non è che proprio non se ne parli più ma la questione del segreto di stato sulle indagini per la strage di Bologna non è stata quest’anno al centro delle rivendicazioni di chi chiede si arrivi finalmente alla “verità finora negata”.
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Non è che proprio non se ne parli più ma la questione del segreto di stato sulle indagini per la strage di Bologna non è stata quest’anno al centro delle rivendicazioni di chi chiede si arrivi finalmente alla “verità finora negata”. C’è un motivo. Dopo l’ultima desecretazione dei documenti dei servizi segreti è apparso in modo solare che la storia del segreto di stato sulla strage di Bologna era una balla. Intanto perché c’è da tempo una legge che vieta al governo di opporre il segreto di stato in vicende di terrorismo e mafia e poi perché tutti gli addetti ai lavori sapevano che il segreto era stato posto su una vicenda contemporanea ma non realisticamente correlata alla strage del 2 agosto, quella della scomparsa in Libano dei due giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo. I magistrati in ogni caso quelle carte, segrete per storici e giornalisti, le avevano viste e nulla ne hanno cavato. Niente più segreto di stato, dunque. Quest’anno si porta il reato di depistaggio, che suona bene lo stesso. Solo che è un imbroglio ancora peggiore della balla sul segreto di stato. Perché non serve solo a giustificare evidenti lacune nelle indagini ma  ad applicare-in questo caso l’enfatizzazione è appropriata più che in altri- un bavaglio alla stampa costituzionalmente libera e democraticamente critica. Magari domani vediamo perché.
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