I dubbi sulla morte del pentito Carmine Schiavone

Massimo Bordin

La morte, in un incidente stradale, del pm Federico Bisceglia rilancia i dubbi sulla morte del pentito Carmine Schiavone. Il procedimento logico è bizzarro. Ora si aggiunge il mistero dell’incidente stradale del magistrato su un viadotto della Salerno-Reggio Calabria. C’è un nesso fra i due?

    La morte, in un incidente stradale, del pm Federico Bisceglia rilancia i dubbi sulla morte del pentito Carmine Schiavone. Il procedimento logico è bizzarro. Un quotidiano, che si definisce garantista già nella testata, rilancia definendo misteriosa la morte del pentito pur avvertendo lealmente il lettore che essa è sopravvenuta per infarto dopo che, pochi giorni prima, l’anziano camorrista era caduto dal tetto di casa sua, di fronte a testimoni. Ora si aggiunge il mistero dell’incidente stradale del magistrato su un viadotto della Salerno-Reggio Calabria. C’è un nesso fra i due? Certo, si legge. Entrambi, con ruoli diversi ovviamente, avevano a che fare con le indagini sui rifiuti tossici interrati in Campania, nella cosiddetta “terra dei fuochi”. Schiavone aveva raccontato ai giudici alcune verità e qualche balla, poi un anno prima di morire lamentava che alcune sue rivelazioni fossero state nascoste. Il magistrato ne era forse depositario? Questo di fatto viene proposto come dubbio. Ma basta verificare. In Campania purtroppo ci sono almeno due “terre dei fuochi”. Una nel casertano, dove regnano gli Schiavone e i loro accoliti. L’altra, su cui aveva indagato Bisceglia, fra Nola, Marigliano e Vallo di Lauro, dove a gestire il traffico erano i camorristi di Carmine Alfieri e Mario Fabbrocino, in nessun rapporto con i “casalesi”. Comunque il pm trattò solo l’aspetto tecnico-ambientale della “terra dei fuochi” nolana, mentre dei camorristi si occuparono altri magistrati. Tutto ciò giusto per la precisione cronistica.