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Le verità scientifiche che il Parlamento non vuol sentire sulla Ru486

Eugenia Roccella

La balla della conquista femminista, quella ancor più grande della maggior tutela per la salute della donna. Le nuove linee guida sull'aborto chimico dimostrano che la politica italiana ha ancora paura di affrontare i temi di bioetica

La Ru486, la famosa pillola abortiva, più che un farmaco è un progetto politico che adesso, con le nuove linee guida ministeriali, arriverà a compimento. Come metodo per interrompere la gravidanza è assai meno sicuro ed efficace di altri, in compenso presenta per il sistema sanitario pubblico - ma non per le donne - vantaggi indiscutibili. Non c’è bisogno di impegnare le camere operatorie, non c’è bisogno dei medici non obiettori, non c’è bisogno di sprecare risorse, insomma, non c’è bisogno di occuparsi di aborto: tutto torna come un tempo nella sfera del privato femminile, ed è la donna, solo la donna (secondo la nuova semantica gender meglio parlare di “persona con la cervice” o “persona con mestruazioni”) ad avere a che fare con il sangue, il dolore fisico e psicologico, la paura e l’incertezza, la necessità di controllare l’emorragia e riconoscere l’embrione espulso. Il percorso è lungo, si prende una prima pillola, e poi, dopo 48 ore, un’altra, quella che provoca le contrazioni uterine necessarie per espellere l’embrione. Il tempo per arrivare in fondo alla procedura  è variabile, in media tre o quattro giorni. Il medico deve solo fornire le pillole, poi tutto si compie a casa, tra il letto e il bagno; complicanze ed effetti collaterali li deve fronteggiare la donna, decidendo se è il caso di correre in ospedale o se il flusso di sangue, i crampi, la nausea, rientrano nella normalità. E’ la legge del contrappasso per le femministe degli anni Settanta: hai detto “l’utero è mio e lo gestisco io”? E allora gestiscilo, non solo nelle scelte, ma anche nella pratica, assumiti tutte le responsabilità e lascia fuori lo stato e i medici da questa roba. La mortalità da aborto chimico è 10 volte più alta rispetto a quello chirurgico, gli eventi avversi sono infinitamente più frequenti, la solitudine femminile è più aspra e dolorosa. Eppure si contrabbanda la Ru come una grande conquista per le donne, la nuova frontiera di una vecchia battaglia femminista.

  

 

Il progetto politico è semplice: la legge 194 non si può cambiare in Parlamento (ai politici di destra e di sinistra vengono i brividi solo a pensarlo) e perciò bisogna farlo per altre strade, che non coinvolgano l’opinione pubblica, che non rimettano in discussione equilibri ormai consolidati. L’aborto con il metodo chimico è intrinsecamente estraneo allo spirito e alla lettera della 194, costruita tutta sull’idea - ed è facile riconoscere l’impronta dei cattolici del Pci dell’epoca - che la maternità, accettata o rifiutata, sia comunque una questione sociale, che investe l’intera comunità. In Francia, dopo la diffusione della Ru, la legge sull’aborto fu cambiata, ma in Italia non sarà nemmeno necessario. Basterà qualche accorgimento procedurale, e tutto scivolerà nella disattenzione e nel sollievo di medici, dirigenti sanitari, amministratori locali e politici nazionali.

  

 

Le vecchie linee guida, che prevedevano per la somministrazione della Ru486 il ricovero di tre giorni in ospedale allo scopo di monitorare  il percorso abortivo e garantire la maggior sicurezza possibile alla paziente, non era un’idea balzana e tantomeno un’imposizione ideologica: era una scelta basata sulle evidenze scientifiche e su tre diversi pareri del Consiglio superiore di sanità. Le evidenze scientifiche non sono cambiate: non ci sono nuove sperimentazioni, i princìpi attivi dei farmaci adoperati sono sempre quelli, e non è chiaro in base a quali considerazioni il Consiglio superiore di sanità abbia cambiato il proprio parere. Sarebbe interessante saperlo, e poter discutere in piena trasparenza di quali garanzie offre l’aborto a domicilio, e di come si farà a mettere in atto una efficace farmacovigilanza, come si farà a registrare gli effetti collaterali e gli eventi avversi. Bisogna ricordare che le morti avvenute negli Stati Uniti, in particolare per infezione da clostridium ma anche per emorragie improvvise e inarrestabili e per altre complicazioni, sono emerse con grande fatica, contro i pareri dei medici e le decisioni dei tribunali, per l’ostinazione di qualche familiare, come il padre della diciottenne Holly Patterson, e non attraverso la normale attività di sorveglianza sanitaria.

 

Ma ormai, dopo il Covid, lo sappiamo: le verità mediche e scientifiche non esistono, tutto è opinabile. L’importante è la comunicazione politica, e sulla pillola abortiva c’è un coro di consensi: non è un metodo abortivo meno sicuro e più doloroso, è una bandiera della libertà femminile.

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