Le scimmie clonate in laboratorio

Le scimmie clonate e la domanda a cui pochi rispondono: "E' giusto?"

Redazione

Il genetista Coviello: "Serpeggia l'ambizione di creare l'uomo"

Milano. “Non si tratta di comportarsi come tanti piccoli Minosse che giudicano e condannano, quanto di avanzare qualche dubbio su quella che appare, così come ci è stata raccontata, una notizia importante e ricca di conseguenze, alcune molto preoccupanti”. Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di genetica umana al Galliera di Genova, riprende un’immagine utilizzata ieri sul Corriere della Sera da Edoardo Boncinelli non per spegnere gli entusiasmi legati alla notizia delle due scimmie clonate in Cina, quanto per aggiustare la prospettiva con cui interpretare simili scoperte. “Boncinelli ha ragione quando sottolinea il fatto che la conoscenza scientifica non può essere fermata. Sarebbe illusorio, oltre che sbagliato, mettere un freno al desiderio umano di sapere sempre di più, capire di più, addentrarsi nei misteri della natura. Ma, al tempo stesso, ogni scienziato sa che ogni scoperta ci rende ancora più consapevoli della nostra ignoranza. E’ il paradosso della ricerca: più scopri, più comprendi di non sapere. In secondo luogo, l’uomo di scienza non può non interrogarsi sulle conseguenze delle sue scoperte, sul loro utilizzo”.

 

La notizia delle due scimmiette clonate, Zhong Zhong e Hua Hua, ha fatto il giro del mondo. Un’équipe di scienziati del Chinese Academy of Science Institute of Neuroscience di Shangai è riuscita a clonare in laboratorio una coppia di macachi. “Detto così – sottolinea Coviello – si tratta di un notevole passo avanti rispetto a Dolly. La tecnica utilizzata è la medesima: trasferire il nucleo di una cellula dell’individuo da riprodurre in un ovulo non fecondato e privato del suo nucleo. Come si ricorderà, nel caso della povera pecora ci si era dovuti scontrare con l’invecchiamento precoce dell’animale. Nel caso delle due scimmie, si è riusciti a creare due femmine identiche dal punto di vista genetico. Gli scienziati cinesi sarebbero stati in grado di “disattivare” con interruttori molecolari specifici i geni che impedivano lo sviluppo dell’embrione nel nucleo trapiantato”. Tuttavia “occorre mettere in rilievo anche altri aspetti della notizia che, se non adeguatamente enfatizzati, rischiano di portarci fuori strada. Innanzitutto va tenuto conto che Zhong Zhong e Hua Hua sono le uniche due nate in un gruppo di 79 embrioni clonati. E, secondo, stiamo parlando di due animali che hanno sei e otto settimane di vita. Un arco temporale troppo breve per trarre conclusioni”. Il genetista predica un po’ di cautela: “Otto settimane sono davvero poche. Occorre un periodo di osservazione più lungo per determinare che non vi siano complicazioni. Rimango sempre molto sorpreso dal ‘modo’ con cui questo tipo di notizie sono divulgate. C’è sempre molta fretta a ‘stappare lo champagne’, se così si può dire. Ma occorre cautela, sia per una ragioni di rigore scientifico – pensiamo solo a quanti controlli si debbano fare sui farmaci, perché con la clonazione siamo così precipitosi? – sia per ragioni di ordine morale. Troppo spesso, infatti, notizie di questo tipo inducono le persone a illudersi che la scienza sia vicina a trovare soluzioni alle malattie più gravi e incurabili. E’ un errore che la comunità scientifica e quella dei media non possono permettersi di correre”.

 

Boncinelli ha scritto che “sembra ieri che apprendisti ricercatori trentenni venivano dalla Cina nei nostri laboratori per imparare il ‘mestiere’ di biologi molecolari. Adesso sono in grado di fare tantissimi esperimenti magari anche meglio di noi”. “E’ vero in parte”, chiosa Coviello. Innanzitutto perché ci sono diversi scienziati italiani che in questo campo stanno pubblicando studi di notevole interesse. E, in secondo luogo, perché è indubbio che in Cina, grazie anche ai grandi capitali messi a disposizione, si fa di tutto, senza alcuna remora né scientifica né morale, ma io mi chiedo: è giusto?”. Troppo spesso, spiega il genetista, notizie ammantate da scopi filantropici rivelano poi prosaici obiettivi commerciali o faustiani intenti biotecnologici: “Dopo la scimmia artificiale, cosa ci impedisce di avere il primo uomo artificiale? Sotto sotto serpeggia l’ambizione di creare l’uomo. Di essere i nuovi dei”.

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