Charlie Gard, i genitori ritirano la domanda per portarlo negli Usa (foto LaPresse)

La battaglia di Charlie è finita

“Troppo tardi”. I genitori del piccolo Gard hanno deciso di “lasciarlo andare”

Il piccolo Charlie Gard non compirà un anno il 4 agosto. Nei prossimi giorni sarà “lasciato andare”, come hanno detto i suoi genitori ieri, in lacrime, davanti all’Alta Corte di Londra. Il tribunale inglese nei giorni scorsi aveva accettato di rivedere la propria decisione di appoggiare la scelta dell’ospedale che aveva in cura Charlie, quella cioè di non dare il permesso di trasportare il bambino ammalato negli Stati Uniti per una cura sperimentale, data l’eccessiva sofferenza che gli avrebbe comportato. Il bene per lui, avevano sentenziato i giudici, era spegnere i macchinari che lo tenevano in vita. La battaglia tenace dei suoi genitori ha però fatto sì che la vicenda di Charlie diventasse un caso internazionale, muovendo leader politici, capi di stato, persino il Papa, tutti d’accordo nel chiedere che venisse permesso alla famiglia di tentare la cura sperimentale. 

 

 

A quel punto Charlie è però diventato soprattutto il simbolo di una battaglia: un padre e una madre chiedevano che l’ultima parola sulla vita del proprio figlio non l’avessero lo stato e un tribunale che, pur tenendo conto di molti dei fattori in gioco, erano portati a optare per la morte invece che per una seppur piccola speranza di vita. I dati in possesso dei dottori parlavano di accanimento terapeutico e sofferenze inutili per il bambino, i cui organi principali funzionavano ormai soltanto grazie a delle macchine. Secondo il medico americano che avrebbe dovuto tentare la cura sperimentale, adesso è comunque “troppo tardi”. 

 

 

“Non è più nell’interesse di Charlie continuare i trattamenti”, ha detto l’avvocato della coppia, lasciando certamente il dubbio sul possibile esito positivo che un intervento tempestivo avrebbe potuto avere sulla salute del bambino, ma con una evidente dose di realismo. Charlie morirà nelle prossime ore, e l’epilogo della vicenda non poteva comunque essere diverso. La sua storia, lo abbiamo scritto, è una finestrella aperta sul grande mistero del dolore innocente che non può essere chiusa né da una sentenza di tribunale né da uno schierarsi aprioristico in favore della vita tout court, ignorando i limiti che la tecnica incontra quotidianamente. La sofferenza di Charlie ci lascia una domanda aperta sul significato della vita e sull’importanza della salvaguardia di una zona grigia che rispetti il dolore ma non faccia entrare lo stato al posto nostro.

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