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Bentistà

Regioni irragionevoli

Marco Bentivogli

Centraliste sull’assunzione di responsabilità, autonomiste sulle convenienze. Un fallimento istituzionale

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Il penultimo dpcm assecondava la richiesta ragionevole delle regioni di potere decidere in maniera selettiva le aree, le attività, eccetera a cui applicare le fasce restrittive. Dopo settimane di contrattazione, finalmente il dpcm del 3 novembre evita lo scempio della primavera di un unico lockdown nazionale e divide l’Italia in base al tasso di contagiosità, il famigerato Rt. Il provvedimento, all’articolo 4, assegna alle regioni la possibilità di prevedere ulteriori misure, esattamente quanto chiedevano gli enti territoriali. Una settimana prima tutte le regioni avevano firmato un protocollo sui parametri da utilizzare. Ma è partita lo stesso la protesta.

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Il penultimo dpcm assecondava la richiesta ragionevole delle regioni di potere decidere in maniera selettiva le aree, le attività, eccetera a cui applicare le fasce restrittive. Dopo settimane di contrattazione, finalmente il dpcm del 3 novembre evita lo scempio della primavera di un unico lockdown nazionale e divide l’Italia in base al tasso di contagiosità, il famigerato Rt. Il provvedimento, all’articolo 4, assegna alle regioni la possibilità di prevedere ulteriori misure, esattamente quanto chiedevano gli enti territoriali. Una settimana prima tutte le regioni avevano firmato un protocollo sui parametri da utilizzare. Ma è partita lo stesso la protesta.

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Eppure è strano, perché sono poche le aree in cui la Sanità è ancora lontana dalla soglia di allarme. Le regioni dovrebbero essere le istituzioni più consapevoli di questo, invece giocano la partita dell’irresponsabilità. Da sindacalista ho imparato che non si fanno accordi con chi non li difende. Non generalizzo, alcune regioni funzionano benino, ma in generale si tratta di un problema serio. Di più: le regioni sono un fallimento istituzionale e politico. Sono centraliste sull’assunzione di responsabilità, controlli, eccetera, e autonomiste su convenienze (assunzioni, risorse). Il mostro costruito dal centrosinistra col Titolo V è solo uno degli aspetti in questione.

 

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Al posto di “Roma ladrona” sono state create tante Roma in ogni regione, senza alcuna responsabilità, ma con vizi spesso (non generalizziamo) anche peggiori. Consiglio la rilettura del bellissimo libro di Goffredo Buccini del 2015 “Governatori”, edito da Marsilio, che annotava come “le regioni hanno massacrato l’Italia”. La verità è che gli effetti di quel federalismo regionale pesano come macigni sugli ospedali, lo smaltimento dei rifiuti, i servizi per i cittadini, ormai sempre più diseguali. Tutto ciò ha reso l’Italia sempre meno unita, vanificando il diritto alla salute sancito dalla Costituzione. Le incapacità dei governatori sono sempre giustificate da “risorse che non arrivano”.

 

Chissà perché le regioni che più avrebbero bisogno dei Fondi strutturali europei sono anche quelle che non riescono, per incapacità, a spendere i soldi assegnati. Con poche eccezioni, le regioni hanno scaricato tutte le vertenze di crisi industriali al Mise, senza neanche fare finta di provare a risolvere i problemi. Leggetevi i programmi dei corsi finanziati dalle regioni. I membri dei consigli e delle giunte regionali hanno emolumenti sproporzionati rispetto alle attività svolte, soprattutto se comparati con quelli del Parlamento. Il costituzionalista calabrese Costantino Mortati sosteneva che l’autonomia finanziaria era la “pietra angolare” del sistema regionale. È invece un pozzo senza fondo: anche perché all’autonomia nella spesa non fa da contraltare quasi nessun obbligo riguardo al prelievo.

 

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In alcune regioni la Sanità pesa per l’80 per cento del bilancio regionale e non funziona lo stesso. E poi senti parlare di “tagli” indiscriminati. I comuni hanno avuto molti più limiti dal patto di Stabilità nelle loro possibilità di spesa, eppure hanno cercato di darsi un’organizzazione migliore, forse anche perché i cittadini sono riescono a identificarne le responsabilità più facilmente. Non ci siamo accorti abbastanza, come disse il Censis già nel 1995, della “statalizzazione delle regioni”: queste ultime, infatti, non riescono più a differenziarsi dalla politica essendo percepite più “come luoghi di spesa” che di rappresentanza.

 

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Bisognerebbe abolire le regioni, ma sarebbe un’occasione di scontro, fomentato per chi si nutre di quel pozzo senza fondo che sono diventate. Due cose possiamo fare per semplificare il panorama istituzionale e razionalizzare l’uso delle risorse: accorpare i comuni sotto i 5.000 abitanti e creare sette macroregioni. Con le dovute eccezioni, ma il fatto che l’autorità centrale non sia ai massimi storici non fa di per sé diventare giganti i nani.

 

Nel frattempo godiamoci la triste scena dei governatori che gestiscono il loro problema di consenso con finte agitazioni contro il governo centrale. Le loro pretese non hanno nulla di serio e preoccupante, ricordano i bulli di periferia che fingendo di volere menare qualcuno gridano “areggime”. Sono un po’ come l’avvocato interpretato dal gigantesco Gigi Proietti: pronto ad affiancarsi al contadino quando c’era da prendersi i meriti, altrettanto lesto a lasciarlo solo di fronte alle responsabilità.

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