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Bandiera Bianca

C'è chi li chiama woke, ma forse "adolescenti" è la parola giusta

Antonio Gurrado

Oggi si sprecano anglicismi, ma esiste da sempre una definizione per chi vede o bianco o nero e pensa di avere il diritto di censurare le idee altrui perché offensive. Prima o poi alcuni di loro crescono

Che poi uno non sa mai come chiamarli. C’è chi li chiama metaforicamente woke, chi li identifica metonimicamente come cancel culture, chi li definisce spregiativamente snowflake, e ora c’è un acronimo onomatopeico che mi piace molto: yip, che non è solo il singulto che emanano quando qualcosa li scandalizza (cioè sempre) ma sta anche per young illiberal progressive. Comunque vogliamo chiamarli, un’indagine condotta forse un po’ stocasticamente da una rete televisiva britannica ha dimostrato che un gran numero di ragazzi fra i tredici anni e la ventina ritiene giusto non tollerare chi la pensa diversamente, proporre le proprie idee come le uniche possibili e censurare tutto ciò che reputa offensivo.

 

La percentuale, va detto, scende drasticamente man mano che si sale d’età. E quindi – se ci dà fastidio ricorrere a termini anglofoni come woke o cancel culture o snowflake o yip – ho pronta una parola italianissima da proporre per definire queste persone che non sopportano opinioni differenti, credono di saperla lunga su tutto e strepitano per l’annientamento di ciò che non rientra nel loro mondo ideale immaginario. Sono degli adolescenti. L’indagine dimostra che alcuni di loro, a un certo punto, crescono.

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