bandiera bianca

Cosa pensare della protesta ambientalista al Museo del Novecento di Milano

Antonio Gurrado

Gli attivisti che si sono incollati a una scultura di Boccioni sono pochi, mosci e ben poco originali. Ma la cosa più grave forse è un'altra

Dalla protesta dei quattro ambientalisti che si sono incollati a una scultura di Boccioni al Museo del Novecento di Milano, per sensibilizzare sull’apocalisse climatica, si possono dedurre alcune cosette. La prima è che sono pochi: erano quattro, letteralmente quattro, un po’ meno dei loro compari che immortalavano la scena per il web e molti meno dei visitatori del museo che hanno beatamente continuato il proprio giro senza scomporsi. La seconda è che sono mosci: il loro proclama era un vaniloquio che non solo mescolava benzina e lavoratori dello spettacolo, welfare e acqua pubblica, ma lo faceva in un unico pastone mandato a memoria, monocorde e cantilenato.

La terza è che sono lenti: hanno riproposto l’azione degli ambientalisti inglesi alla National Gallery, di cui avevo già parlato, ma per copiarla ci hanno messo un mese intero. La quarta è che sono sfaticati: mentre gli inglesi si erano sforzati di trovare un quadro agreste di Constable e di sovrapporci immagini di futuri disastri ambientali, loro hanno scelto una scultura astratta a cazzo di cane (“Forme uniche della continuità nello spazio”), depotenziando il significato del proprio gesto e, forse, non capendolo nemmeno.

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