(foto Ansa)

bandiera bianca

Se quel "non siamo più padroni del nostro destino" suona retorico

Antonio Gurrado

L'ha detto Simone Inzaghi dopo Bologna-Inter. Forse sarebbe meglio che nel calcio si parlasse italiano invece di utilizzare le solite espressioni solenni

“Non siamo più padroni del nostro destino” è diventata la frase più gettonata in ambienti nerazzurri, da ripetersi mestamente dopo la sconfitta di Bologna, magari col sembiante sfatto e lo sguardo infisso in un immaginario baratro come Simone Inzaghi nelle interviste post-partita. Se nel mondo del calcio si parlasse in Italiano, si direbbe: “Per lo scudetto non ci basta più vincere tutte le partite residue”; siccome però nel mondo del calcio non si parla in Italiano, come del resto in gran parte d’Italia, ecco che si ricorre a una nobilitazione lessical-filosofica del concetto, “Non siamo più padroni del nostro destino”, forse non immemore di quelle frasettine che si davano da tradurre ai ginnasiali per fortificarne e il latino e il morale, “Faber est suae quisque fortunae”.

Basta poi però cambiar canale, uscire con un colpo di telecomando dallo spogliatoio e dalla zona mista per le interviste, precipitando così su un canale che rispolvera la minaccia nucleare, su un altro che ammonisce di non abbassare la guardia contro il Covid, su un altro ancora che paventa l’apocalisse climatica, su uno infine dove sbraita un predicatore millenarista – ed ecco che tutti, interisti e no, inesorabilmente finiscono per domandarsi: ma, per restare padroni del nostro destino, davvero ci bastava che Radu non facesse quel che ha fatto?

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