La cattedrale di Nantes dopo l'incendio di luglio 2020 (AP Photo/Laetitia Notarianni)

Bandiera Bianca

La storia di un santo, padre Olivier Maire

Antonio Gurrado

Bisogna sforzarsi di vedere la luce in mezzo al male. E come splende quella del missionario francese, ucciso dal piromane a cui aveva offerto accoglienza

Si possono vedere molte cose diverse nella storia di Emmanuel Abayisenga, il quarantenne immigrato in Francia che l’anno scorso aveva dato fuoco alla cattedrale di Nantes e ieri ha ucciso padre Olivier Maire, uno dei missionari della comunità religiosa che lo aveva accolto da qualche mese per garantirgli la libertà condizionata.

 

È una specie di test di Rorschach della nostra coscienza. I più superficiali vedranno un atto di fondamentalismo, ma Abayisenga è cattolico. Qualcuno ci vedrà un fattaccio di immigrazione fuori controllo, in quanto Abayisenga è un clandestino che non si è riusciti a espellere neanche dopo che ha incendiato una cattedrale; qualcun altro ci vedrà la tragedia di un uomo che fugge dal Ruanda, si vede respingere tutte le richieste di asilo politico e, letteralmente, impazzisce. Qualcuno ci vedrà un caso clinico da manuale di psichiatria (perché vendicarsi sul proprio benefattore?), qualcun altro ci vedrà un caso giuridico da maneggiare con sottigliezza e cautela (perché non far marcire in galera uno sbandato evidentemente pericoloso?). In tanto male bisogna sforzarsi di vedere il lato più luminoso: la storia di un santo, padre Olivier Maire, che per amore del prossimo ha accusato di mettere a rischio la propria vita e l’ha sacrificata fino all’ultimo.

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