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Bandiera Bianca

Oscar Wilde e il carcere di Reading

Antonio Gurrado

La prigione inglese diventerà un complesso residenziale, ma alcuni intellettuali protestano: lì ha trascorso due anni da recluso il celebre scrittore irlandese, meglio trasformarlo in un museo. Tre motivi per obiettare

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Chiuso da sette anni, il carcere di Reading ha ancora un paio di mesi prima di venire convertito in complesso residenziale. Bene, no? Eppure un ammirevole e indefesso nugolo di intellettuali si sta prodigando affinché, prima della fatale scadenza, il comune di Reading riesca a convincere il governo a non vendere il bene demaniale, presentando un progetto per riqualificare invece l’area come museo e centro culturale dedicato alla vita e all’opera di Oscar Wilde. Nel carcere di Reading, infatti, Wilde trascorse gli anni dal 1895 al 1897. Pe quanto commendevole sia l’intento, sarebbe tuttavia una curiosa scelta. Un po’ perché presuppone che la redenzione di un luogo orribile – dove si impiccavano le persone, dove le si costringeva ai lavori forzati – passi necessariamente attraverso la cultura. Come a sottintendere che, se solo avessero letto e conosciuto Wilde, i bigotti vittoriani non lo avrebbero condannato; quando invece la triste verità è che l’hanno condannato proprio in quanto l’avevano letto e conosciuto. Un po’ perché piazzare un centro culturale a metà strada fra Londra (dove Wilde è fiorito) e Oxford (dove Wilde si è formato) rischia di appiattire la sua identità e interpretazione sugli anni in cui è marcito, sul carcere e sulla precedente condanna, quindi sul giudizio morale ovvero sull’esatto opposto della poetica che Wilde si proponeva. Senza contare che Wilde era nato in un bel complesso residenziale, in Merrion Square a Dublino, e forse da lì ha tratto la prima linfa dell’ambizione estetica; se fosse nato in un centro culturale o in un museo, chissà che roba noiosa avrebbe scritto.

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Chiuso da sette anni, il carcere di Reading ha ancora un paio di mesi prima di venire convertito in complesso residenziale. Bene, no? Eppure un ammirevole e indefesso nugolo di intellettuali si sta prodigando affinché, prima della fatale scadenza, il comune di Reading riesca a convincere il governo a non vendere il bene demaniale, presentando un progetto per riqualificare invece l’area come museo e centro culturale dedicato alla vita e all’opera di Oscar Wilde. Nel carcere di Reading, infatti, Wilde trascorse gli anni dal 1895 al 1897. Pe quanto commendevole sia l’intento, sarebbe tuttavia una curiosa scelta. Un po’ perché presuppone che la redenzione di un luogo orribile – dove si impiccavano le persone, dove le si costringeva ai lavori forzati – passi necessariamente attraverso la cultura. Come a sottintendere che, se solo avessero letto e conosciuto Wilde, i bigotti vittoriani non lo avrebbero condannato; quando invece la triste verità è che l’hanno condannato proprio in quanto l’avevano letto e conosciuto. Un po’ perché piazzare un centro culturale a metà strada fra Londra (dove Wilde è fiorito) e Oxford (dove Wilde si è formato) rischia di appiattire la sua identità e interpretazione sugli anni in cui è marcito, sul carcere e sulla precedente condanna, quindi sul giudizio morale ovvero sull’esatto opposto della poetica che Wilde si proponeva. Senza contare che Wilde era nato in un bel complesso residenziale, in Merrion Square a Dublino, e forse da lì ha tratto la prima linfa dell’ambizione estetica; se fosse nato in un centro culturale o in un museo, chissà che roba noiosa avrebbe scritto.

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