bandiera bianca

La Primula rossa dei vaccini

Antonio Gurrado

Da quando la baronessa Emma Orczy ha scritto la saga, cent'anni fa, la "primula" è diventata simbolo di beffarda irraggiungibilità, di sagace fuggevolezza, di frustrante inafferrabilità. E ora diventano simbolo della campagna vaccinale anti Covid. Arcuri sta cercando di dirci qualcosa?

    Non me ne intendo di botanica, ragion per cui per me tutti gli alberi sono “l’albero” e tutti i fiori sono “il fiore”. Per questo, quando il commissario Arcuri ha annunciato il simbolo che dominerà la prossima campagna per il vaccino anti-Covid, lì per lì ho subito pensato: “Che bello, un fiorellino”. Considerazione, mi rendo conto, non di elevato profilo scientifico ma indubbiamente in linea col modo un po’ naif in cui sta venendo gestita l’emergenza. Quando però ho appreso che quel fiore è in realtà una primula, mi sono piuttosto preoccupato: infatti non capisco nulla di botanica ma le citazioni mi sorgono spontanee, ragion per cui ho immediatamente associato la campagna vaccinale alla Primula rossa, quella della fortunata saga narrativa di cent’anni fa. La primula è da allora diventata simbolo di beffarda irraggiungibilità, di sagace fuggevolezza, di frustrante inafferrabilità. Come mai è assurta a simbolo di una campagna vaccinale organizzata non si sa bene come per non si sa bene quando? Arcuri sta cercando di dirci qualcosa? Inoltre la Primula rossa agisce nel periodo del terrore, nel pieno inferocimento della folla ignorante sobillata da politicanti incompetenti e senza scrupoli. Sarà mica un riferimento a fatti o persone realmente esistenti oggi? Soprattutto, è inquietante che la saga della Primula rossa inizi col protagonista che, per salvare la vita ai connazionali, per prima cosa li aiuta a fuggire in Inghilterra. Dove, in effetti, il vaccino c’è già.