Foto Unsplash

Instagram, i selfie e le stories. Bernhard aveva capito tutto nel 1986

Antonio Gurrado

Adelphi ripubblica in edizione economica il suo capolavoro “Estinzione”. Perché proprio oggi? Perché lo scrittore, anche se gli influencer non erano ancora nati, ci reputava già deficienti. Giustamente

Perché Adelphi ha mandato in libreria l’edizione economica di “Estinzione” di Thomas Bernhard? Perché è un capolavoro, ovvio, e perché se non avete ancora letto Bernhard smettete qualsiasi cosa stiate facendo adesso e leggetelo subito, ovvio. Il romanzo però era uscito in Austria nel 1986 ed era stato tradotto da Adelphi nel 1996, quindi perché fare l’edizione economica, di largo consumo (speriamo) solo dopo che in Italia il romanzo è in circolazione da un quarto di secolo? Me lo sono chiesto a lungo, gustandomi la crudelissima lettura, fino a che non ho trovato queste righe: “Disprezzo quelli che fotografano di continuo. Sono di continuo alla ricerca di un soggetto e fotografano tutto, anche le cose più insensate. Non hanno altro in testa, di continuo, se non di esibire se stessi e sempre nella maniera più ripugnante, senza però esserne consapevoli. Nelle loro foto catturano un mondo perversamente deformato, che col mondo vero non ha niente in comune se non la perversa deformazione di cui si sono resi colpevoli. Fotografare è una mania meschina da cui è contagiato a poco a poco l’intero genere umano, perché della deformazione e della perversità è non solo innamorato, ma addirittura pazzo e col tempo, a forza di fotografare, scambia in effetti il mondo deformato e perverso per l’unico vero. Nelle loro fotografie le persone sono marionette ridicole, stravolte, anzi storpiate fino a diventare irriconoscibili, che, ottuse e disgustose, fissano spaventate il loro ignobile obiettivo. Fotografare è una passione abietta da cui sono contagiati tutti i continenti e tutti gli strati sociali, una malattia da cui è colpita l’intera umanità e da cui non potrà mai più essere guarita”. Ecco.

 

E ancora, centosessanta pagine dopo: “La fotografia è l’arte diabolica del nostro tempo”. E ancora, trecentosessanta pagine dopo: “Dall’invenzione della fotografia, ossia dall’inizio di questo processo di istupidimento oltre cent’anni fa, lo stato mentale della popolazione non fa che peggiorare. Le immagini fotografiche hanno messo in moto questo processo di istupidimento mondiale, che ha raggiunto una velocità effettivamente letale per l’umanità nel momento in cui quelle immagini fotografiche sono diventate mobili. Ottusamente, l’umanità non guarda mai altro, se non quelle letali immagini fotografiche, e ne è come paralizzata. Al volgere del millennio il pensiero non sarà più possibile a questa umanità”. Allora ho capito perché Adelphi abbia deciso di pubblicare “Estinzione” in edizione economica, di largo consumo (speriamo), proprio adesso, nell’estate 2020, quella in cui inevitabilmente, poiché le statistiche impietose non mentono, saranno scattate e diffuse più fotografie che nella storia del mondo: per dirci che Thomas Bernhard aveva capito tutto nel 1986, che aveva già previsto i selfie e i filtri, il foodporn e le stories, per dirci che gli influencer non erano ancora nati e lui già ci reputava deficienti, giustamente. Mi ha talmente colpito, questa preveggenza, che subito ho scattato una foto a “Estinzione” e l’ho postata su Instagram, senza pensarci.

Di più su questi argomenti: