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Salvate Moana dal benaltrismo

Antonio Gurrado

A più di un quarto di secolo dalla morte della pornostar, uno spettacolo teatrale che gioca sull’ambiguità associa velleità etiche a quelle artistiche

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Salvate Moana dal benaltrismo. A più di un quarto di secolo dalla morte della pornostar, uno spettacolo teatrale che gioca sull’ambiguità – Moana Pozzi è morta o è nascosta? la donna che le somiglia è lei o non è lei? – associa velleità etiche a quelle artistiche. Ben altra è la pornografia oggi, ha dichiarato infatti l’autore Ruggero Cappuccio; non quella interpretata da Moana sul palco e sullo schermo ma “lasciar morire le migranti incinte sui barconi alla deriva, i bambini affamati in Africa o quelli sotto le bombe in Siria”. Ancora, “osceno è ciò che promettono, e poi non mantengono, certi politici”; oltre, ovviamente, al “capitalismo che ci induce a bisogni inutili”. E noi ingenui che fino a un quarto di secolo fa credevamo che la parabola artistica di Moana Pozzi fosse pura estetica, piacere assoluto, dono di sé ed esaltazione del corpo; invece era un tentativo contorto di farci pensare ai bambini che muoiono di fame e al fact-checking sui programmi elettorali, oltre che magari al Gruppo Bilderberg. Il vero esordio teatrale di Moana fu nel 1986, con uno spettacolo di Riccardo Schicchi in cui lei, insieme ad altre pornostar, cantava (malaccio), si spogliava (parecchio), si tocchicciava (poco) e magari scendeva fra il pubblico a domandare: “Come ti piace far l’amore? Quali sono i tuoi sogni erotici? Cosa mi faresti?”. Era, a suo modo, avanguardia, e come tale fu fraintesa dagli spettatori; i quali, anziché partire volontari per la Siria od organizzare la rivoluzione proletaria, allungavano le mani e (censura).

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