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Perché la distinzione tra profughi buoni e profughi cattivi non deve interessarci

Antonio Gurrado

Il caso dell'operatrice violentata in un centro d'accoglienza da uno straniero e salvata da un altro migrante non deve impietosirci

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Siete sicuri che un’azione neutralizzi la precedente? Nel riferire dell’operatrice violentata da un profugo in un centro di accoglienza nella Bassa Bergamasca, i giornali ci hanno tenuto a far notare che la medesima vittima è stata messa in salvo da due altri profughi. Il sottinteso è che i profughi e più in generale gli immigrati non sono naturalmente cattivi, ci mancherebbe; e che, pertanto, come si corre il rischio di venire stuprati da uno di loro, si può avere l’opportunità di beneficiare del coraggio e della bontà di altri di loro. Quest’approccio è di sicura presa sui nostri cuori però si fonda su un ragionamento sbagliato: presuppone che l’azione del profugo crudele venga annullata dall’azione contraria dei profughi onesti. Non è così.

 

La violenza da parte del profugo non può essere diluita nei meriti di altri profughi, e la sua traccia resterà indelebile in chi l’ha subita nonostante tutte le contromosse lenitive intraprese da volenterosi. Il dovere dello Stato non è di stilare un bilancio morale e controllare se la maggioranza dei profughi sia buona o cattiva, o se ci sia un numero di bravi profughi sufficiente a neutralizzare quelli malvagi. Il compito dello Stato è di evitare che accada qualsiasi azione criminale e quindi – in questo contesto – operare in modo da escludere che foss’anche mezzo profugo possa mai violentare una donna. Ai profughi buoni vanno tutte le lodi e i giovamenti del caso ma la loro azione è stata determinata da un’azione che non doveva esserci, il tentato stupro da parte del profugo malvagio; allo Stato deve interessare come assicurarsi che non si verifichi l’azione del profugo malvagio, non il modo in cui altri profughi l’hanno contrastata. Che poi qualcuno sia colpevole e qualcun altro sia innocente, è questione di responsabilità individuale e vale per i profughi così come per i maschi in generale, poiché si deve prendere in considerazione il singolo essere umano e non la categoria. La responsabilità individuale non è materia di dibattito sui giornali né di politiche sull’immigrazione. 

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