Perché oggi Mazzini darebbe ragione a Dijsselbloem

Antonio Gurrado

I fallimentari focolai di rivolta che il patriota italiano provò a organizzare per raggiungere una “futura sintesi europea”

Speriamo che domani, fra un celebrazione e l'altra, a qualcuno venga in mente di ricordare che fra i primi visionari dell'Europa unita ci fu Mazzini. Va bene che, a considerarlo coi criteri di oggi, Mazzini era populista e terrorista, però in “Fede e avvenire” scrisse espressamente che bisognava agire in vista di una “futura sintesi europea”; correva il 1835. Il problema era come organizzarsi. Il suo progetto consisteva in reiterati focolai che avrebbero dovuto portare a un radicale rivolgimento politico in grado di migliorare le condizioni dell'intero popolo europeo, idea cristallina e commendevole.

  

 

Iniziò dall'Italia: organizzò dei moti in Piemonte ma, prima ancora dello scoppio, i congiurati vennero arrestati perché si menavano. Ne organizzò allora uno in Liguria, stavolta sincronizzando l'insurrezione a meraviglia, ma all'appuntamento fissato non si presentò nessuno. Allora riprovò con la Calabria, dove fece convocare le masse alla rivolta: aderirono in diciannove, uno dei quali era un infame che si portò appresso la polizia; allora sì che insorse il popolo, ma per aiutare la polizia a immobilizzare gli insorti, mazzolarli e fucilarli. Ciò nonostante Mazzini non demorse e fino alla morte perseguì l'ideale di una Europa libera e gioconda. Se però un olandese di passaggio gli avesse detto che i popoli del sud sono rissosi, inaffidabili e infingardi, avrebbe risposto che era un ingiusto stereotipo?