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Quando i romani hanno cominciato a trasformarsi in cinghiali

Antonio Gurrado

Continuano gli avvistamenti nella Capitale. Che sia una metafora?

 

Toh, un cinghiale a Roma. È il secondo? No, il terzo: questo è morto investito da un'auto in via di Settebagni; qualche giorno fa un altro, purtroppo, aveva disarcionato a morte un motociclista sulla Cassia; e a febbraio un altro ancora se la passeggiava per via Baldo degli Ubaldi. Questa misteriosa invasione dei cinghiali nell'urbe sarà mica metaforica? Abbiamo creduto per due secoli che Roma fosse stata scritta dal Belli e adesso scopriamo invece che l'ha scritta Ionesco. Starà avvenendo qualcosa del genere. Mentre i romani fanno gli affari propri al bar, all'improvviso passa un cinghiale e l'evento viene osservato con curiosità e distacco. Un po' più tardi ne passa un altro e la gente si domanda se si tratti sempre dello stesso; segue dibattito fra favorevoli e contrari.

 

Un bel giorno una signora scopre un cinghiale al posto del marito e se ne fa trasportare in groppa, fino a che non si trasforma in cinghiale anche lei e può scorrazzargli al fianco. I cinghiali diventano sempre più numerosi e i romani residui iniziano a domandarsi: “Quando avremo iniziato a tramutarci? Quando abbiamo sbraitato esultando perché con la nuova amministrazione cambiava tutto? Quando abbiamo detto no ai palazzinari, alla kasta, alle liberalizzazioni? Quando abbiamo preteso di leggere le dichiarazioni dei redditi dei politici? Oppure quando abbiamo iniziato a digitare forsennatamente tutto ciò che ci passava per la testa senza chiedercene le conseguenze?”. Fino a che l'interrogativo non si fa più sottile e diventa una mera questione se sia il caso di non soccombere o se invece non sia meglio adeguarsi allo spirito del tempo. Proprio oggi, a conferma di quest'ipotesi, è stato avvistato un cinghiale anche a Genova.

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