L'Accademia dei Lincei

Ora l'Accademia dei Lincei stronca la magistratura sulla Xylella

Luciano Capone
La Corte di giustizia europea si è espressa sulle misure di contrasto alla Xylella fastidiosa, il batterio da quarantena che causa il disseccamento degli ulivi in Salento. La sentenza conferma che “la Commissione può obbligare gli stati membri a rimuovere tutte le piante potenzialmente infettate dal batterio”.

Roma. La Corte di giustizia europea si è espressa sulle misure di contrasto alla Xylella fastidiosa, il batterio da quarantena che causa il disseccamento degli ulivi in Salento. La sentenza conferma che “la Commissione può obbligare gli stati membri a rimuovere tutte le piante potenzialmente infettate dal batterio”. La misura è, secondo la Corte, “proporzionata all’obiettivo di protezione fitosanitaria nell’Unione ed è giustificata dal principio di precauzione”. Non regge l’opposizione di chi, tra agricoltori, ambientalisti e partiti (su tutti i soliti 5 stelle), riteneva ingiustificate le misure del piano Silletti per prevenire la diffusione del patogeno. “Ora ci aspettiamo che l’Italia applichi le misure senza ritardi per proteggere tutti gli stati membri dalla Xylella”, ha commentato il commissario europeo alla Salute, Vytenis Andriukaitis. Ma non sarà semplice, a causa del decreto di sequestro della procura di Lecce che impedisce di eradicare gli ulivi: è il prodotto della famigerata inchiesta che accusa di diffusione di malattia addirittura gli scienziati che l’hanno scoperta.

 

Oltre al rischio di perdere l’olivicoltura, sull’Italia incombe una procedura d’infrazione per inadempienza rispetto alle misure europee previste. Il ministero delle Politiche agricole e la regione Puglia – Maurizio Martina e Michele Emiliano – che finora hanno scaricato le responsabilità sull’Europa, evitando di prendere posizione rispetto a un’inchiesta che appariva fin dall’inizio pericolosa e infondata, non hanno più scuse per non intervenire, anche solo con una moral suasion, sulla procura. Soprattutto perché le tesi dei magistrati non reggono sul piano scientifico, che è quello proprio di una questione così delicata.

 

L’Accademia dei Lincei, una delle più prestigiose società scientifiche italiane, ha scritto un “Rapporto Xylella”, frutto del lavoro di scienziati come Roberto Bassi, docente di Fisiologia vegetale all’Università di Verona, e Giorgio Morelli, primo ricercatore del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura), coordinati da Francesco Salamini, già direttore del Max-Planck-Institut für Züchtungsforschung di Colonia. Nel rapporto i Lincei fanno a pezzi, sminuzzano e infine polverizzano l’inchiesta, smentendo – al netto del complottismo un tanto al chilo – le poche ipotesi concrete dei magistrati: non è vero che la Xylella sia innocua e non è vero che sono presenti diversi ceppi del batterio (il procuratore Cataldo Motta afferma di averne trovati “perlomeno nove!!!”): “L’agente causale della malattia è Xylella fastidiosa – scrivono nelle conclusioni gli scienziati – una conclusione che abbiamo accettato come non più discutibile. Tutti gli isolati di Xylella all’analisi molecolare sono riconducibili a un identico genotipo”. Una cosa che fatica a far propria anche il presidente Emiliano, che ancora oggi sostiene che “la sentenza della Corte di giustizia ribadisce l’assenza della prova scientifica del nesso causale fra Xylella ed essiccamento”. Per Emiliano, che è anche magistrato, dovrebbe essere semplice rendersi conto leggendo la sentenza che la Corte si riferisce al parere dell’Efsa del 2015 e che la stessa autorità europea per la sicurezza alimentare l’anno dopo – pochi mesi fa – ha stabilito che “la Xylella è responsabile della malattia che sta distruggendo gli olivi nell’Italia meridionale”.

 

Oltre a sottolineare le carenze scientifiche, nel rapporto dei Lincei c’è anche una dura critica ai metodi della procura: “Ci si chiede come sia stato possibile intervenire nell’attività scientifica, fino al punto di sequestrare i pc di professori e ricercatori. Il gruppo non può che essere solidale con i cinque ricercatori nel ritenerli colpiti nella coscienza di essere liberi di conoscere e scoprire il vero delle cose”. E ancora: “Abbiamo verificato che le certezze dei ricercatori hanno una solida base scientifica”. Al contrario “la costruzione logica descritta dalla procura non è sostenuta da dati sperimentali” e inoltre anche due dei periti scelti dai pm “sono fra gli autori di una pubblicazione che conferma la tesi dei ricercatori indagati”. I magistrati in pratica vengono smentiti dai loro stessi periti, ma mantengono il sequestro sugli olivi.

 

Il problema è che l’azione della procura – che sul Foglio abbiamo definito sin dall’inizio una “caccia all’untore” – rischia secondo i Lincei di produrre danni enormi, favorendo la diffusione del batterio in Italia e nel bacino mediterraneo, con il rischio che si ricombini geneticamente e attacchi oltre all’olivo altre piante come la vite. “E’ difficile comprendere le ragioni del permanere del sequestro conservativo che appare, piuttosto, distruttivo per la flora e l’agricoltura pugliesi. E’ poco plausibile che la procura sia all’oscuro degli sviluppi scientifici e agronomici sopravvenuti negli ultimi mesi. L’impressione dell’osservatore – scrivono i Lincei – è che il sistema giudiziario faccia perlomeno fatica a rendersi compatibile con la realtà fisica di fenomeni naturali che si sviluppano con tempi e modi indipendenti da codici e procedure”. Ma forse è il contrario, è la realtà fisica che non rispetta i tempi della magistratura. Si potrebbe pensare di aprire un’indagine.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali