Il World Press Freedom Index del 2016 

Reporters senza vergogna

Giulio Meotti

Come ogni anno i nostri giornali si scandalizzano che l’Italia sia settantesima per libertà di stampa, secondo la classifica di Reporters sans frontières. Ma sfogliando la lista di Rsf c’è da sbellicarsi dalle risate

Nella piatta Finlandia i giornalisti saranno sicuramente più liberi che in Inghilterra. Però degli inglesi, che la stampa l’hanno inventata, secondo Reporters sans frontières  (Rsf) fanno meglio persino quei liberali del Ghana. È uno dei tanti sfottò della classifica che stila ogni anno Rsf. E come ogni anno, i nostri giornali si scandalizzano che l’Italia sia settantesima in lista, proprio nei giorni in cui le redazioni tagliano e cuciono intercettazioni di un ministro in carica (non è forse il massimo esempio di libertà di stampa?). Sfogliando la lista di Rsf c’è da sbellicarsi dalle risate.

   

L’Olanda svetta e non si sa perché, visto che è il paese di Theo van Gogh, di Ayaan Hirsi Ali, degli arresti di vignettisti come Gregorius Nekschot e dei processi a Geert Wilders. Quest’ultimo non è un giornalista, obiettano. Ma è stato processato per il documentario “Fitna”. Quello non è vero giornalismo, rispondono. Domina l’indice, come sospesa fuori dalla realtà, la Danimarca, nonostante a settembre il Jyllands-Posten, per ricordare la maggior crisi planetaria per la libertà di parola, abbia ripubblicato la stessa pagina del 2005, ma al posto delle vignette su Maometto dodici spazi bianchi. La classifica di Rsf si riferisce al 2015: non c’è stato l’attentato al caffè di Copenaghen in cui giornalisti e vignettisti discutevano di libertà di parola? Valeva così poco quella del regista ucciso al caffè, Finn Noergaard? E come ha fatto la Germania a precipitare in classifica dietro alla Giamaica? Ovvio, per le aggressioni ai giornalisti durante le manifestazioni di Pegida. Un vero attentato alla democrazia. Ma il prossimo anno c’è da aspettarsi una risalita tedesca: basterà soltanto ignorare Jan Böhmermann, il comico a processo per le rime su Erdogan.

 

Nell’inverosimile logica di Reporters sans frontières, il processo Vatileaks contro Emiliano Fittipaldi dell’Espresso e Gianluigi Nuzzi pesa di più dei dodici morti a Charlie Hebdo, visto che la Francia si piazza quaranta posti più avanti di noi. Nonostante a Parigi, da anni, si processino giornalisti e scrittori e gli si tolga il microfono (caso Zemmour). E gli Stati Uniti del quarto potere che hanno inventato il primo emendamento 240 anni fa? Dietro Namibia, Belize e Tonga. Colpa del prode Edward Snowden, riparato nel paradiso dell’informazione russa, e di qualche sassata afro a Ferguson, in Missouri. Infine, Reporters sans frontières piazza Israele al centesimo posto, poco sopra la Nigeria di Boko Haram e altri cessi islamisti. Meglio fanno persino il Niger e il Senegal.

  

Ma non era Israele uno dei paesi più liberi al mondo per una stampa, vivace e irriverente, capace di far cadere i governi e di far tremare l’esercito e che vanta il più alto tasso di lettori di qualsiasi paese del mondo? Non secondo Reporters sans frontières. Israele, reo di buttare giù qualche antenna di Hamas, sta bene dietro baluardi della libertà di parola come il Mozambico e il Libano. Anastas Mikoyan, funzionario russo sotto Stalin e Kruscev, ha riassunto così questa concezione della libertà di stampa: “Quando un milionario ha dieci giornali e dieci milioni di persone non hanno i giornali, questa non è libertà di stampa”. Praticamente l’idea di pluralismus della nostra corporazione giornalistica.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.