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I Panama leaks e la fuffa per i media

Giuliano Ferrara
Con il nome di Pedro Almodóvar si è capito che quelli di Panama sono correntisti sull’orlo di una crisi di nervi ma anche banali clienti di un sistema di conti offshore. Montezemolo vale Messi che vale Putin che vale il papà defunto di Cameron che vale il presidente e imprenditore cioccolataio ucraino Petro Poroshenko

Con il nome di Pedro Almodóvar si è capito che quelli di Panama sono correntisti sull’orlo di una crisi di nervi ma anche banali clienti di un sistema di conti offshore. Montezemolo vale Messi che vale Putin che vale il papà defunto di Cameron che vale il presidente e imprenditore cioccolataio ucraino Petro Poroshenko o il violoncellista Sergei Roldugin che vale il cognato di Xi Jinping o il pachistano Sharif o l’islandese timido Gunnlaugsson a differenti latitudini: un anno di lavoro di due testate europee importanti (la Süddeutsche Zeitung di Monaco di Baviera e il Guardian di Londra), più un orwelliano Comitato internazionale di giornalismo investigativo, un leak di milioni di file dall’interno di una ditta legale specializzata in maneggi d’alto bordo e dal nome altamente evocativo Mossack Fonseca, e il risultato è che molti big dello sport del cinema della politica e del potere hanno una banca, forse più banche, preferibilmente all’estero (il nome di Putin non c’è, per la verità, ma ce lo mette il Comitato).
C’è da stupirsi, dopo il caso del contractor americano Edward Snowden, dopo il Super-wiki-leak di Julian Assange, che la cyberguerra contro i poteri forti si riveli sempre tanto debole. Il denaro è notoriamente uno strumento di potere. Gli uomini di potere, in special modo gli autocrati ma non solo loro, devono entrare nel circuito del denaro, intercettarlo anche perché non finisca nelle mani degli avversari, usarlo. Il problema criminale nasce quando si evadono le tasse, quando si ricicla un malloppo di origini sospette, quando si finanzia il terrorismo. Questa casistica penale è sempre assente dal fascio di prove presunte e di indizi raccolti dalle agenzie del pettegolezzo finanziario. I file intorno a cui con impressionante regolarità divampano incendi mediatici globali parlano di cose ovvie, scontate, e ne parlano in un tono nervoso, predicatorio, moralistico ma mai definitivo, mai preciso. E’ il festival dell’innuendo, la giostra dell’insinuazione.

 

Infatti non cambia niente. Tuona la Grancassa, e il resto è silenzio o chiacchiericcio. Che sia Assange, uno spiantato australiano d’avventura, oppure Snowden, un patriota molto particolare, al massimo si fanno chiacchiere e si espongono le loro statue nei festival del giornalismo, perché le si possa toccare o adorare come icone del miracolo mediatico. Milioni di informazioni non sono capaci di fornirci altra merce che il già visto, il già sentito, il già sospettato, e spesso si tratta di operazioni legali, su cui c’è poco da ridire. Spesso risulta chiaro che la vera dimensione dello scandalo non è la realtà sottostante ma lo scandalo stesso. Il procedimento è sempre autocontraddittorio, a tratti grottesco, basta guardare le carte. Ancora ieri sulla Stampa c’era un articolo informato e serio che ribadiva come l’attico di Bertone non esiste, il che è vero perché è un terzo piano, e poi su un’immagine della Città del Vaticano, stessa pagina, c’era una pecetta rossa che indicava “l’attico di Bertone”.

 

Chiunque può supporre che Putin sia un autocrate con soldi all’estero intestati agli amici, non è difficile e non costa niente, ma è più complicato spiegare che la costruzione di uno stato nucleare postsovietico abbia a che fare con la meravigliosa dichiarazione di Lionel Messi: “Firmo a occhi chiusi i conti offshore, basta che me lo dica papà”.

 

In quella trama di conti c’è chiaramente del sulfureo specifico e dell’avido generico, quelli con il gruzzolo che si fanno lo yacht e quelli che si scudano una carriera per quando smetteranno di fare gol e quelli che sovrintendono a una delle storie chiave di questo secolo XXI, la trasformazione dell’Unione sovietica in Federazione russa, della Repubblica popolare cinese del pugno di riso in un bengodi autoritario che cresce al 7 per cento l’anno, del Gosplan in economia capitalistica, della Guerra fredda in qualcos’altro che ancora non si conosce bene, un indecifrabile multipolarismo. Queste sono le questioni interessanti dal punto di vista del potere e di chi lo osserva, magari per informarne con cognizione di causa guardoni e lettori, e di queste questioni non troverete traccia nei famosi file delle ripetute rivelazioni. Fuffa per i media, cibo sintetico per le scorpacciate digitali della finanza nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.