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Chi è Salman Al-Khalifa, il sultano che punta alla presidenza della Fifa

Francesco Caremani
Salman Bin Ebrahim Al-Khalifa è nato a Riffa il 2 novembre 1965, membro della famiglia reale (è cugino del re del Bahrain), dopo la laurea ha coperto vari ruoli presso la Bahrain Football Association fino a diventarne presidente nel 2002, incarico che ha ricoperto sino al 2013 quando è diventato presidente dell’Afc, facendo parte pure del comitato disciplinare Fifa.
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Lo sceicco Salman Bin Ebrahim Al-Khalifa è il crack, calcisticamente parlando, di queste elezioni. Lo è in due sensi. Primariamente perché ha spostato gli equilibri con grande forza e nettezza verso quella parte di mondo che non ha mai avuto accesso diretto al governo del calcio mondiale, basterebbe ricordare che a parte l’interim di Issa Hayatou l’unico presidente Fifa non europeo è stato il brasiliano Joao Havelange (1975-1998) in mezzo a due francesi, tre britannici e uno svizzero. In seconda battuta perché molto si è parlato dell’integrità del nuovo gruppo dirigente e dei controlli sulle candidature, con scarsi risultati, viste le accuse di violazione dei diritti umani (di cui abbiamo già parlato, https://www.youtube.com/watch?v=LIIYnpbgoD4) e di mancanza di trasparenza da parte della federazione asiatica nell’affare World Sports Group. Con Infantino sarà una gara all’ultimo voto anche se il vento sembra tirare dalla parte di Salman e se il 26 febbraio dovesse conquistare lo scranno più alto della Fifa sarebbe un cerchio che si chiude, dopo i massicci investimenti arabi nel calcio europeo, dopo i Mondiali del 2022 in Qatar, la conquista definitiva della Morte Nera, se pensiamo alla Fifa come all’Impero Galattico del football.

 

Salman Bin Ebrahim Al-Khalifa è nato a Riffa il 2 novembre 1965, membro della famiglia reale (è cugino del re del Bahrain), dopo la laurea ha coperto vari ruoli presso la Bahrain Football Association fino a diventarne presidente nel 2002, incarico che ha ricoperto sino al 2013 quando è diventato presidente dell’Afc, facendo parte pure del comitato disciplinare Fifa. Proprio in questi ultimi giorni si è alzata l’asticella sulla violazione dei diritti umani e dall’Australia il calciatore esiliato Hakeem Al Oraibi punta il dito contro Salman che avrebbe perseguitato gli atleti scesi in piazza nel 2011, ma lui e i suoi avvocati negano tutto: “Non ho scheletri nell’armadio”. Da presidente Afc ha invece occultato l’audit PwC sui contratti con il World Sports Group che ha fatto cadere il suo predecessore, Mohamed Bin Hammam, rendendo pubblica la verifica solamente tre anni dopo. Nonostante tutto appare abbastanza sicuro della vittoria e spera in un’elezione che nei voti dia un mandato forte al prossimo presidente Fifa, un testa a testa secondo Salman indebolirebbe una figura che dovrà riformare il governo del calcio mondiale. Il russo Vitaly Mutko, membro del comitato esecutivo, ha suggerito un accordo pre-elettorale, ma sia lo sceicco che Infantino, l’unico avversario degno di questo nome, hanno negato colloqui e incontri, anche se il primo ha lanciato messaggi sibillini all’Uefa in questo senso.

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Nel suo manifesto punta ad aumentare le nazionali partecipanti alla fase finale dei Mondiali, vuole controlli anti doping più efficaci, una netta separazione tra potere politico e amministrativo all’interno della Fifa e partite con un tempo effettivo di 60 minuti, quella deriva NBA che paventa Jérome Champagne. Intanto, nel fronte africano, Musa Bility, presidente della Federazione liberiana, ha aperto un varco portandosi dietro 26 voti della Caf che non appare più così granitica intorno allo sceicco, come promesso da Issa Hayatou. Mentre Malta voterà per il principe giordano Ali Al Hussein. Fino al 26 marzo ogni federazione potrebbe cambiare idea e votare il suo contrario nel segreto dell’urna, molto dipende dal lavoro di lobbying che i vari comitati avranno saputo mettere in pratica. Bility si è schierato anche contro Domenico Scala, membro della commissione elettorale, chiedendone le dimissioni perché svizzero come Infantino. La Fifa, nella persona di Andreas Bantel (portavoce del comitato elettorale), ha risposto che nessuno degli altri candidati ha sollevato il problema, rimandando al mittente i dubbi. Se, comunque, il fronte africano dovesse spaccarsi Salman Bin Ebrahim Al-Khalifa rischia molto e solo un accordo potrebbe salvarlo, a meno che non si tratti di scaramucce per ottenere di più al momento di riscuotere il credito accordato. Il 26 febbraio ne avremo contezza.

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