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La sanatoria sulla stepchild adoption maltrattata a Porta a Porta

Maurizio Crippa

Forse anche a voi, preventivamente addormentati da Gigliola Cinquetti, è sfuggita l’enormità di quel che hanno detto Simona Bonafè e Gianni Riotta ieri sera da Vespa. Ma non l’abbiamo sognato.

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Gigliola Cinquetti è sicuramente più attuale di Monica Cirinnà, più interessante di Giorgia Meloni (e ci mancherebbe), dunque giudiziosa scelta è stata regalarle la prima parte del talk-show della buona notte, ieri sera. Poi, a pubblico giudiziosamente assopito, Bruno Vespa ha sfoderato il piatto forte di Porta a porta, il dibattito sulle unioni civili e il Family Day.

 

Dalla tazza del caffè, il mattino dopo, riemerge la vaga sensazione di un qualcosa di importante cui si è assistito ma che, sarà colpa della Cinquetti, sul momento era come sfuggito alla presa di coscienza. La cosa è questa. C’erano, nel ruolo in commedia dei filo Cirrinnà, Simona Bonafè – che oggi sul Foglio Salvatore Merlo ritrae da par suo come “diversamente renziana” – e Gianni Riotta. Bonafè, per essere una diversamente renziana, si è incagliata subito in uno dei luoghi comuni basici del renzismo: “Sono moltissimi anni che aspettiamo una legge, dunque va fatta”. Che, se la legge è fatta male, è un’affermazione di dubbio significato. Ma la cosa importante, quella davvero importante, culturalmente e legislativamente, è un’altra. Riguarda la stepchild adoption, che sarebbe poi lo status dei figli minori.

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[**Video_box_2**]Ed è su questo punto che sia Bonafè sia Riotta, che la sa lunga di America e di diritti civili, hanno certificato – forse senza nemmeno accorgersene – un fatto: che così com’è scritto il ddl Cirinnà è niente di meno e niente di diverso che una sanatoria per l’utero in affitto. Cosa ovviamente negata a parole, anzi esecrata (Riotta sa che persino le femministe storiche, su questo, “sono d’accordo con il Family day”), persino da Mara Carfagna (uh, c’era anche la Carfagna: non ce la siamo sognata), scandalizzatissima dallo schiavismo dell’utero in affitto. Però poi, nella logica di pensiero di Simona Bonafè e di Gianni Riotta, rimane solo questo: quella pratica che fanno all’estero, e che è così incivile, noi la aborriamo; ma poi, “una volta che quel fatto si è prodotto”, che possiamo fare? Niente, e che dovremmo fare? Una sanatoria, no? Tale quale allo scudo fiscale per il rientro dei capitali nascosti esentasse all’estero. Il ragionamento ha, in sé, una sua così evidente enormità che persino Bruno Vespa, che avrebbe senza dubbio preferito proseguire con Gigliola Cinquetti, a un certo punto ha chiesto: sì, ma se poi, fatta la legge, una coppia va a fabbricarsi un bambino all’estero, e dunque non si tratta più di figlio “preesistente” ma di un nuovo prodotto, che cosa accade? E che vuoi che accada? La sanatoria, no?

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