Chi sarà l’ultimo bambino a nascere in Italia?
"Chi sarà l’ultimo?". La domanda è di Casentino 2000, il periodico della valle più defilata della Toscana, una serie ininterrotta di foreste, eremi, monasteri, pievi, torri di guardia e scalinate di pietra che sembrano uscite da un disegno di Escher. Una valle incantata e isolata, difesa fin dal nome, che risale al latino Clusentinum, dal verbo “plaudere”, chiudere, che ne fa una sorta di anfiteatro delimitato dalle dorsali e dove hanno lasciato tante testimonianze Dante e San Francesco. Eppure, la crisi demografica sta devastando il Casentino, tanto che chiuderà l’unico punto nascita presente.
Secondo dati Eurostat, l’Italia introdurrà fino a 400 mila immigrati ogni anno almeno fino al 2040, portando a un terzo dell’intera popolazione italiana il numero dei cittadini stranieri o di origine straniera. Blangiardo non crede all’idea di sopperire al collasso demografico tramite l’immigrazione.
“‘Importare’ popolazione da altri paesi e culture è una possibile soluzione, ma significa accettare un cambiamento, lento ma inevitabile, della propria identità. Pur senza drammatizzare, il rischio è di dover accettare profonde trasformazioni sul piano della cultura e dei valori. Non si può dire quanto l’azione d’integrazione e assimilazione di chi arriva da altrove potrà funzionare. Certo è che l’inevitabile ammissione di grandi masse di popolazione con una cultura diversa non potrà non segnare profondi cambiamenti in società che faticano a difendere la loro cultura. Oggi a scuola basta un bambino musulmano per legittimare l’abolizione del presepe”.
Secondo il demografo, una “popolazione stazionaria” può esistere soltanto per un periodo brevissimo, perché, quando ci si mette su questa strada i morti tendono sempre più a crescere e i nati a calare. Il professor Gian Carlo Blangiardo invita a segnarsi una data, il 2031, quando in Italia il numero degli adulti single (8,7 milioni) supererà il numero delle famiglie. E’ saltato da tempo quello che Blangiardo definisce “ricambio generazionale”: “Non torna più dal lontano 1977. Sullo sfondo, in una società in cui la vita si allunga continuamente e la salute tiene fino a tarda età, c’è l’illusione di una ‘quasi immortalità’ e allora non è più necessario affidare ai figli la propria perpetuazione. Magari è una sensazione inconscia, ma in questo mondo di ‘sempre figli’ a quarant’anni, gli equilibri che tenevano in piedi i meccanismi del ciclo della vita sono tutti saltati”.
Quando è iniziato questo declino? Nel Sessantotto. “I fattori sono molteplici. Si va da aspetti ‘tecnici’ dopo un baby boom, come era accaduto nei primi anni Sessanta, c’è sempre una fase di stasi, fino a mutamenti culturali che spostano i tempi della vita, soprattutto per i giovani. L’età al matrimonio, quando c’è, si è spostata in avanti, le conoscenze in tema di contraccezione si sono ampliate al pari dell’efficacia delle tecniche. Alcune norme, la 194 sull’aborto, hanno contribuito ad accreditare un clima di scelte individualistiche che non andavano certo nella direzione della natalità. E poi c’è la percezione crescente di una mancanza di sostegni e gratificazioni da parte della società nell’essere genitori. Io sono nato in una cittadina che aveva scuole di tutti i livelli e un’offerta diversificata, aveva una stazione importante, era sede degli uffici dell’allora Sip. Aveva un ospedale importante. Oggi è rimasto soltanto il liceo e l’istituto tecnico. Tutto il resto è scomparso”.
[**Video_box_2**]Come sarà l’Italia fra mezzo secolo? “Avrà ancora sessanta milioni di persone, di cui dieci, quindici milioni con un background da immigrato, avrà meno nipoti che nonni e meno pronipoti che bisnonni. Avrà oltre un milione di abitanti con oltre novantacinque anni”. E’ mai esistito un precedente nella storia della civiltà? “A quanto è stato possibile ricostruire, l’Impero Romano è crollato per la stessa debolezza demografica”. Lo studioso della Sorbona, Pierre Chaunu, analizzò il crollo demografico del tardo Impero, il passaggio dai 55 milioni di abitanti dell’epoca augustea a 25 milioni. E ci scrisse sopra un libro formidabile: “Un futur sans avenir”.
Il presente italiano in cui ci sono più bare che culle.