Stefano Cucchi

La verità, prima o poi, sul caso Cucchi

Maurizio Crippa
Perché lo stato di diritto non può permettersi il ritardo nel dire i fatti. Quando un potere legittimo e democratico prende in consegna il corpo di un cittadino diventa anche responsabile della sua incolumità.

Non possono darsi, in uno stato di diritto, casi di cittadini che sono “entrati in una cella vivi e ne sono usciti morti”. Quando un potere legittimo e democratico prende in consegna il corpo di un cittadino diventa anche responsabile della sua incolumità. A questo principio, base di ogni altro diritto, questo giornale si è sempre attenuto a proposito del caso di Stefano Cucchi, morto all’ospedale Pertini nel 2009 sei giorni dopo l’arresto, e di altri analoghi. In base a un’idea liberale, su queste colonne hanno trovato spazio anche le argomentazioni di chi, come Carlo Giovanardi, sostiene che un “caso” non ci sia, tantomeno una uccisione, ma solo un processo mediatico allo stato e alle forze dell’ordine. Il giudizio di merito può ancora attendere: a dicembre inizierà il processo di Cassazione, dopo l’assoluzione in appello degli imputati nel “caso”.

 

C’è però un tempo che non è giusto attendere. Nell’inchiesta bis in corso, c’è ora la nuova testimonianza di due militari: dicono che quando Cucchi fu portato alla stazione di Roma Appia un sottufficiale dei carabinieri avrebbe detto che il ragazzo era stato “massacrato” di botte. Dunque non sarebbe stato picchiato dagli agenti penitenziari (il sindacato Sappe, sguaiato, già chiede delle scuse) ma, forse, al momento dell’arresto. Da carabinieri. Ieri, inoltre, è stata depositata una perizia di parte civile che, smentendo i periti del processo di primo grado, sostiene che Cucchi aveva una “frattura recente” a livello lombare. Altro brutto punto di domanda, e non abbiamo risposte da preferire. Ma se ci sono persone che, per anni, hanno taciuto ciò che sapevano – e per di più facendo parte a vario titolo di corpi dello stato – sarebbe grave. Qualunque sia stato il motivo, comunque non legittimo, del loro tacere.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"