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Freccero Puffo

Maurizio Crippa
Il fuori sincrono è di quelli che inceneriscono, “le cose più geniali che ha fatto Freccero nella sua carriera sono state mettere i Puffi contro la programmazione di Raiuno”, la laconica intelligenza che ci sta dietro è di quelle che fanno godere. Quanto ci manchi, Enrico Ghezzi?
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Il fuori sincrono è di quelli che inceneriscono, “le cose più geniali che ha fatto Freccero nella sua carriera sono state mettere i Puffi contro la programmazione di RaiUno”, la laconica intelligenza che ci sta dietro è di quelle che fanno godere. Quanto ci manchi, Enrico Ghezzi? Fortuna che qualcuno ogni tanto lo intercetta, fuori dall’etere, come ieri in Calabria il giornale online 21 righe. Non una battutaccia, solo un giudizio spassionato buttato lì, che inchioda in un frame-stop vita, arte e miracoli di Carlo Freccero. E forse pure la sua nuova vita (la seconda? La quinta? Gliene auguriamo altre sette) da profeta grillino della televisione pubblica e, va da sé, trasparente (“la mia difesa saranno il dossier sul lavoro e la trasparenza. Diffonderò tutte le notizie che riterrò necessario, ad eccezione delle informazioni di politica industriale che vanno preservate. Sarà il mio scudo”). Nuova vita, del resto, la più improbabile tra quelle che il guru della televisione che fu ha già vissuto. Nominato il 4 agosto nel cda Rai, in quota senza stipendio, su designazione dei Cinque stelle, anche se lui fa la casta diva: “Io vado avanti per cavoli miei, eh. Io non sono teleguidato da nessuno”. (Che, uno come lui dovrebbe saperlo, è una battuta buona solo in bocca al telecomando).

 

In realtà Freccero è da un pezzo, da un pezzo prima, che s’è trasformato in un castigamatti per ogni argomento buono all’antipolitica. Un Rodotà applicato all’etere, un Salvatore Settis del bene comune audiovisivo. Dei vecchi tempi non ha perso la ghirba impunita e fumantina. La domanda a tradimento di Giuseppe Cruciani sul perché fosse lì sui divani Mediaset di Tiki Taka, invece di fare l’ospite al programma della sua ditta, la Rai, era, ammettiamolo, sgangherata. Eppure lui se l’è presa moltissimo, eccheccacchio! “Io sono libero di andare dove mi pare. Mica sono un dirigente o un impiegato della Rai”. E guai a toccargli il curriculum: “Me ne frego. Il mio curriculum è superiore a quello di tutti gli altri: se vuole glielo mando”. Chissà se ci metterebbe, come gli riconosce Ghezzi, anche il gran successo di aver dato “il via al mattino e al pomeriggio sentimentale, dando un grandissimo contributo al successo delle reti di Berlusconi”. Non proprio una mammola, non proprio un fiore di Via del Campo, insomma uno di quelli che la verginità l’hanno persa da piccoli, ed è per questo che gli facciamo chapeau. Ma il suo jemenfouttisme spalmato sul nuovo e puro di cuore di castigamatti, ci azzecca poco.

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[**Video_box_2**]Eppure imperversa, nella nuova vita da Giovanna d’Arco delle antenne, dove essere contro il Cavaliere vale quanto essere contro Renzi. Soprattutto, è questo che conta. Come ieri, con improbabile e decontestualizzata intervista di Luca De Carolis al Fatto, il cui senso stava nel titolo appiccicato, “Quella sera in cui Dell’Utri mi sfrattò dalla Rai” (ah, il martire dell’editto bulgaro) e nella domanda numero penultima, giù in fondo: “Alla Rai vede lo stesso servilismo verso Renzi di quello verso il Berlusconi che fu?”.

 

“Tale e quale”.

 

Controprogrammazione. Coi Puffi.

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