Cos'è un blog?

Andrew Sullivan ha seguito il consiglio che un Renzi esorcizzante aveva dato all’indemoniato Grillo ed è uscito da questo blog, cioè dal suo blog, the Dish, aperto nel lontanissimo 2000. Mercoledì ha scritto un post in cui diceva che non scriverà più post.

Andrew Sullivan ha seguito il consiglio che un Renzi esorcizzante aveva dato all’indemoniato Grillo ed è uscito da questo blog, cioè dal suo blog, the Dish, aperto nel lontanissimo 2000. Mercoledì ha scritto un post in cui diceva che non scriverà più post (a parte il post scriptum della mattina successiva per reagire alle reazioni dei lettori) e si dedicherà ad altre forme di scrittura, ad altri ritmi di vita e di pensiero. E’ un po’ come dire che Gutenberg lascia la stampa a caratteri mobili, che Larry Page passa a Bing, che Batman sceglie come simbolo il fringuello e altre stupide analogie. Nella profusione di arguzie su Twitter un autore del “Daily Show”, ha trovato la battuta felice: “Andrew Sullivan ha iniziato quando la gente chiedeva ‘cos’è un blog’ e finisce quando la gente chiede ‘cos’è un blog?’”. Di Sullivan si parla spesso come di pioniere del blogging su vasta scala, cosa verissima, ma è contemporaneamente anche l’ultimo esemplare di una specie in estinzione, un dinosauro di un format giornalistico-espressivo entrato nell’èra glaciale. The Dish ha funzionato a meraviglia ed è anche grazie a quella piattaforma che l’economista Tyler Cowen e l’opinionista Ross Douthat hanno potuto incoronare, e a ragione, Sullivan come l’intellettuale più influente di una generazione. Non sempre e non su tutto, certo. Con il leggendario “This is a Religious War” pubblicato sul New York Times ha dato sostanza all’argomentazione degli interventisti liberal, ma era in compagnia di una folta pattuglia di intellettuali (molti dei quali si sono poi pentiti, Sullivan in testa, ma questa è un’altra storia); della campagna per il matrimonio gay, invece, l’omosessuale Sullivan è stato il mattatore incontrastato. Ha iniziato con un saggio uscito nel 1989 e negli anni Duemila il blog ha servito meravigliosamente i bisogni di una campagna che doveva essere martellante, agile, a ciclo continuo, ripetitiva e senza requie. Ma perché Sullivan ne è uscito?

 

Noi del Foglio abbiamo di recente completato un master in addii non piagnucolosi, quindi dei cambiamenti epocali tratteniamo soltanto il buono: Sullivan, dice, era “saturato dalla vita digitale” e “anelava ad altre, più vecchie forme” di scrittura. Vuole leggere un libro con calma, parola per parola, vuole coltivare un’idea senza doverla scrivere a metà della gestazione perché così impone il format. Vuole tornare a usare la ragione nella sua ampiezza, il che richiede tempo, complessità, lentezza, editing. Vuole prendersi cura di sé, della famiglia, degli amici, vuole riattivare certe esigenze intellettuali che sono proprie dell’umano e danno speranza anche ai fan del polemista che non hanno frequentato il succitato master. The Dish è morto, lunga vita ad Andrew Sullivan.

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