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Il moderato che a noi piace

Redazione

Pochi giorni fa, di fronte alle massime autorità sunnite del mondo, all’Università di al Azhar, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha chiesto, con parole senza precedenti da parte di un leader musulmano, l’avvio di una “rivoluzione religiosa” nell’islam.

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Pochi giorni fa, di fronte alle massime autorità sunnite del mondo, all’Università di al Azhar, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha chiesto, con parole senza precedenti da parte di un leader musulmano, l’avvio di una “rivoluzione religiosa” nell’islam, capace di “sradicare” il fanatismo per “rimpiazzarlo con una visione più illuminata del mondo”. “E’ possibile che la nostra dottrina debba fare di tutta la umma una sorgente di ansietà, pericolo, uccisioni e distruzioni per il resto del mondo?”, ha detto Al Sisi, “ed è mai possibile che un miliardo e seicento milioni di persone possano mai pensare di riuscire a vivere solo se eliminano il resto dei sette miliardi di abitanti del mondo? No, è impossibile”. Sarebbero bastate solo queste affermazioni, pronunciate di fronte ai più importanti studiosi e muftì sunniti, campioni di sottigliezze e di distinguo coranici, a fare di Al Sisi l’araldo inaspettato e tutt’altro che moderato di quello che un tempo si sarebbe chiamato “nuovo corso”.

 

E ora arriva dal presidente egiziano un altro gesto forte, con la decisione inaspettata di intervenire personalmente alla veglia del Natale copto,  celebrata la sera del 6 gennaio dal patriarca Tawadros II nella cattedrale di San Marco al Cairo, dove più che mai quest’anno erano forti le preoccupazioni (forti e fondate: solo due giorni prima erano stati uccisi due poliziotti a guardia di una chiesa). I predecessori di Al Sisi al massimo spedivano un loro rappresentante, si limitavano a una telefonata di auguri o a una visita privata al patriarca nei giorni prima di Natale. Ma stavolta il presidente, con la sua presenza, ha dato un altro segnale da non sottovalutare.

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