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Ancora sul dottore Pignatone

Una strana intervista di Fiandaca, una stima troppo diffusa. La stima per il magistrato è universale. Anche il ministro dell’Interno ha detto che l’inchiesta è “solida” perché “ho piena fiducia”. E se lo dice lui, che oltre tutto viene da Agrigento.

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Giuseppe Pignatone, inteso come dottore, è un uomo d’onore. Niente da eccepire. Giovanni Fiandaca, anche lui, di cui abbiamo pubblicato giubilanti la ormai celebre, analitica, sterminata stroncatura del processo Ingroia-Di Matteo dell’agenda rossa, anche lui è uomo d’onore in senso scespiriano, e nulla abbiamo da eccepire. Ma Fiandaca, parlando con la Stampa di Torino, si è lasciato andare a un teorema troppo semplice per non attirare la nostra maliziosa attenzione. Ha detto che il carattere “mafia” e “cupola” attribuito alla rete corruttiva romana delle cooperative turbosolidali e dell’amministrazione capitolina, fra mala “de destra” e operatori della redenzione “de sinistra”, alla fine delle fini, non gli sembra forzato, gli sembra che regga. E perché? Perché nell’indagine c’è la firma di Giuseppe Pignatone, e siccome lui è un uomo d’onore, un valente ed esperto magistrato, tocca credergli. Non è un po’ forte? Siamo sicuri che l’argomento della stima nell’inquirente e nella sua preparazione ci esima dal riflettere su ciò che sta davanti ai nostri occhi, una evidente montatura che origlia la Corleone dei cravattari e la spaccia per “cupola della mafia”?

 

La stima per il dottore Pignatone è universale. Anche il ministro dell’Interno ha detto che l’inchiesta è “solida” perché “ho piena fiducia in Pignatone”. E se lo dice lui, che oltre tutto viene da Agrigento. Nessun giornale o commentatore, tra tanti ciarlieri di questi tempi, ha sollevato con il peso che avrebbe meritato l’incredibile faccenda dell’anticipo politico, a un convegno del Pd, delle notizie relative all’imminente retata romanesca antimafiosa. Infatti il dottore andò al convegno e fece una cosa che è ai confini del diritto, anzi oltre i confini del buonsenso giuridico, annunciò l’imminente Rivelazione della verità sulla mafia romana due o tre giorni prima che scattassero gli arresti e fossero rese note le intercettazioni e altri smunti elementi di indizio a carico dei ladruncoli della 29 giugno e dell’amministrazione.

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[**Video_box_2**]La stima è meritata. Il dottore Pignatone è un magistrato equilibrato e competente. Tra procure che si fanno imbambolare da un Massimo Ciancimino e dalle sue grottesche spacconate, tra magistrati che fanno partitini e pm che si fanno sindaci e rimediano pure la figura che a Napoli tutti sanno, uno della razza dei Pignatone va rispettato, salvo quando va criticato per gestione politica di una congiuntura giudiziaria, come è appunto avvenuto a Roma. Ma un procuratore capo non è mai solo. Deve governare una struttura investigativa, i suoi uomini potrebbero essere meno equilibrati: che dire di Luca Tescaroli, uno dei tre ripulitori della capitale mafiosa, che ha scritto molti libri per dimostrare editorialmente quello che giudiziariamente continuava a sfuggirgli, e cioè l’esistenza di mandanti e registi occulti dello stragismo, da identificare con il famoso uomo nero di nome Silvio Berlusconi? Al bravo Fiandaca suggeriamo di riflettere sul fatto che in Italia i magistrati da oltre vent’anni fanno “partito” e ragionano spesso per iperboli politiciste, e per scopi conseguenti. Diffidare anche degli equilibrati è dunque un dovere di equilibrio civico.

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